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Berlusconi e l’amnistia, una soluzione democratica

Esistono solo due modi di fare politica: l’intransigenza e la diplomazia. Nel primo caso si finisce sempre nel conflitto; nel secondo si apre una possibilità. Il trauma della condanna a Silvio Berlusconi richiede necessariamente il secondo. Non è possibile, infatti, escludere una parte di sovranità popolare dalla vita pubblica di un Paese.

La proposta del ministro Mario Mauro, avallato con realismo da Anna Maria Cancellieri, è perciò ragionevole. Davanti ad una Repubblica che non ha altre soluzioni, accompagnare un’amnistia generale, per motivi umanitari, alla liberatoria per il leader del centrodestra, è sensato.

Sarebbe indebito soltanto se vi fosse la certezza di un sistema carcerario impeccabile, immune da ogni appunto. Qui, invece, siamo alla beffa. Per la prima volta un personaggio politico, dotato di beneplacito sufficiente per governare da solo, è interdetto; quando, poi, viviamo in un Paese che la metà dei condannati non ha diritti di civiltà. Una contraddizione troppo grave perché sia digeribile.

È logico, d’altronde, che una parte del PD insorga. È plausibile che l’accettazione di una soluzione valida per molti non accolga il senso di moralismo che è nei geni di una tradizione che ha fatto della “questione morale” un’ideologia di fondo. Ma adesso, direbbe Gramsci, è il momento del realismo, dell’avvedutezza.

L’amnistia non è una grazia. Non è concessa perché qualcuno è qualcuno. È una soluzione che riguarda una giustizia che non funziona perché non rispetta, neanche minimamente, i livelli di tutela personale richiesti per condannare un cittadino di reati minori. Si apre insomma un’uscita realistica. Anche se bastasse unicamente a ravvivare una democrazia che soffre di una contraddizione insanabile, ebbene ben venga. Un condono che riguarda anche Berlusconi non evita il problema, ma avvalla semmai un appianamento. La democrazia vive di occasioni, mentre i sistemi totalitari di esclusioni.

Quindi questa è una scelta di libertà. Darebbe al PD la forza di vivere grandiosamente la propria battaglia, potendo vincere il centrodestra, se sarà capace, alle elezioni, come avviene in ogni democrazia. Il nostro non è un Paese normale, si sa. Per renderlo minimamente tale bisogna riformare le istituzioni, evitando di gettare i nemici fuori dallo Stato, in una presunta e poco verosimile illegalità.



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