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Le lobby son signore

Lobbisti di sesso femminile a Washington non ce ne sono mai stati tanti. Nel 2002, 11 anni fa, erano il 32% del totale. Su 3 lobbisti seduti al tavolo, c’erano buone possibilità che una fosse donna. Dieci anni più tardi, nel 2012, erano il 35%. Nonostante l’aumento del numero complessivo dei lobbisti di Washington, le donne erano cresciute solo del 3%.

Dispari opportunità? Non esattamente. Un rapporto recente di LegiStorm, un piccolo think tank non politicizzato che produce rapporti prevalentemente sull’attività del Congresso (guarda QUI), ci dice due cose interessanti.

– La prima è che il gender gap propeso a favore degli uomini è prevalentemente la conseguenza di un retaggio culturale non ancora completamente estinto. Il vecchio lobbista amico del congressista era tipicamente di mezza età, con una buona rete di contatti e un ranking discreto a golf. Le donne era (quasi) automaticamente escluse dalla selezione. Con il tempo sono aumentate, il lobbying è cambiato, ma loro lottano ancora contro i problemi comuni alla “categoria”: sopportare tutto il bagaglio di responsabilità legate alla conduzione familiare. A questo proposito mi è venuto in mente un articolo che un anno fa scrisse una nota professoressa americana: Anne Marie Slaughter. Dopo aver rivestito incarichi di prestigio nell’università e nel governo, aveva deciso di lasciare la carriera per dedicarsi ai figli. Lo aveva fatto scrivendo un lungo – e contestato – articolo sui doveri delle donne in un mondo del lavoro che associa la competitività al sesso maschile. “Why Women Can’t Still Have it All” non riguarda direttamente le lobby, ma merita di essere letto. Lo trovate Qui

Torniamo a LegiStorm. La seconda novità che ci rivela il rapporto sul gender gap è ancora più interessante: le donne sono poche, ma quando lavorano, guadagnano più degli uomini. In sostanza lo stesso contratto affidato a un lobbista uomo frutta a quest’ultimo una media di 26299 dollari after taxes. Per una donna sono 33289. Non solo: se sono due lobbisti uomini ad aggiudicarsi la commessa porteranno a casa mediamente 17955 dollari. Se fossero due donne invece ne guadagnerebbero 23542. Se, infine, fossero un uomo e una donna, il guadagno sarebbe di 22992 dollari. In tutti i casi la soluzione interamente maschile esce sconfitta.

Perchè le donne pur essendo numericamente poco incisive fanno più soldi dei loro colleghi maschi? LegiStorm suggerisce due soluzioni. La prima è che, facendo un numero inferiore di contratti rispetto agli uomini, il guadagno medio delle donne verrebbe calcolato sulla base di un range di valori più ristretto. In altre parole, la media di guadagno in rosa si alzerebbe visto il numero inferiore di contratti da poche migliaia di dollari. La seconda spiegazione è più affascinante e l’ha pensata un economista del lavoro della London School of Economics: Mirko Draca. Lo ha chiamato il “rainmaker effect“. Se partiamo dal presupposto che i lobbisti uomini hanno una rete di relazioni più ramificata di quella femminile, dobbiamo dedurne che, anzitutto, gli uomini fanno più contratti che però, presi singolarmente, valgono in media meno dei contratti stipulati dalle donne. E, secondo, che sul totale è comunque l’uomo che produce profitto maggiore per l’azienda.

Sono dati interessanti, segnalano nuovi trend da tenere sotto osservazione. Ce n’è un altro che si lega alle informazioni sulla diversità di genere tra i lobbisti, anche se indirettamente. Si tratta di una nuova tendenza del lobbying USA: molti lobbisti decidono di sparire dal radar, evitando di rendicontare l’attività svolta (la legge lo consente, a determinate condizioni). Quanto incide il numero dei lobbisti “in sonno” (solo apparente) sul totale? Ammesso che possano essere osservati e misurati, sono in grado di modificare in modo sensibile le cifre analizzate da LegiStorm? Ci torneremo presto.



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