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Liberali italiani, ecco da dove ripartire. La versione di Italia Futura

Punto di partenza per il nuovo rassemblemant dei liberali italiani? La distanza siderale dal colbertismo economico dell’ex ministro Giulio Tremonti. Così Simone Perillo, neo direttore del pensatoio montezemoliano Italia Futura che in una conversazione con Formiche.net traccia le coordinate per il futuro centrodestra italiano, inserendosi nel dibattito avviato su queste colonne da intellettuali, esponenti politici e manager.

Quanto è ipotizzabile lo scenario Forza Italia Futura?
Detta così, al momento è troppo uno slogan. Ciò che è sicuramente in corso, e che sta animando il dibattito alimentato da Formiche, è il comune sentire nel riorganizzare lo schieramento dei liberali e del centrodestra. In che formula e con quali protagonisti credo sia ancora tutto un divenire.

L’ex ministro Galan da queste colonne ha invitato i liberali di tutta Italia ad unirsi: quali i paletti politici per una possibile convivenza?
Al di là di leader o singoli nomi, conterà molto l’impostazione di politica economica. In questo frangente, un po’ per necessità o per inadeguatezza, urge una linea netta di interventi economici che si concentri sulla doppia riduzione del debito pubblico e della spesa pubblica, e al di là di misure tampone o provvedimenti di emergenza. Quella è la bandiera da sventolare per fare chiarezza nella proposta elettorale e valutare chi ci sta o meno. Non serve, ad esempio, tagliare un paio di auto blu, piuttosto agire in profondità con misure concrete e strutturali. In quel caso avremmo una chiara matrice di politica liberale.

Una delle critiche mosse al centrodestra del passato governo riguardava l’eccessivo colbertismo dell’allora ministro Giulio Tremonti: la condivide?
È stato proprio quello il vero grande limite di Forza Italia e poi del Pdl, ovvero invocare da un lato la rivoluzione liberale come risposta efficace, ma dall’altro aver attuato politiche che hanno determinato l’aumento della spesa pubblica e del debito pubblico. È lì che sussiste la differenza della proposta, tra un colbertismo nazionalistico, sia pure legittimo ma che nulla ha a che vedere con l’apertura alla concorrenza e con mercati concorrenziali e un liberalismo economico diverso e più spiccato. Quello sarà il banco di prova.

Un primo passo potrebbe essere comporre un manifesto liberale da sottoporre ad eventuali/possibili alleati?
Non so se potrebbe essere un manifesto in quanto tale, ma comunque vedrei bene l’individuazione di priorità e definizioni. Un’esperienza in questo senso particolarmente efficace è stata quella dei dieci punti di Fermare il Declino, che al di là del merito specifico, avevano il pregio della chiarezza e della riconoscibilità. Sarebbe una piattaforma su cui individuare gli obiettivi che ci si pone.

In una scala di priorità quali le prime mosse?
Ridurre il carico fiscale senza dubbio sui redditi da lavoro e su quelli d’impresa, poi l’Imu anche se non è una priorità vera e propria. Ma in parallelo, per coprire quella riduzione, serve abbattere la spesa pubblica per l’importo corrispondente, possibilmente individuando prima dove intervenire e come: una fase preparatoria su cui convogliare consenso e attirare alleati.

Da queste colonne Alessandro De Nicola, presidente dell’Adam Smith Society e tra i fondatori di Fare per fermare il declino, si chiede se sia meglio un contenitore unico o una proposta “a due gambe”: quale modello di centrodestra avrebbe maggiore appeal?
In assoluto è una scelta difficile da fare, ma a occhio direi meglio due contenitori, perché consentirebbero una maggiore chiarezza: nel senso che deve avere una componente più conservative allora è il caso che abbia una gamba singola. Mentre sarebbe difficile un’offerta unica che sia al contempo liberal-economica e liberal-sociale.

Perché dovrebbe essere nuovamente credibile la promessa di una rivoluzione liberale, dopo che per due decenni è stata disattesa?
Proprio perché, essendo stata disattesa, oggi abbiamo sotto mano i risultati di quel trend: lo spread è per fortuna calato ma la crescita non è salita, anche a causa dei fallimenti di politica economica che si sono succeduti che, non solo non hanno funzionato, ma se ripetuti rischiano di portare effetti devastanti per l’economia.

twitter@FDepalo

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