Se il Pdl facesse cadere il governo sarebbe una “scelta omicida nei confronti del Paese e degli italiani” sostiene il deputato veltroniano Andrea Martella, vicepresidente del gruppo del Pd alla Camera, che in una conversazione con Formiche.net traccia la rotta anche del futuro democratico, tra congresso e nuova leadership renziana.
Se il Pdl ritirasse la delegazione al governo, una nuova maggioranza Pd – 5 Stelle sarebbe possibile?
Innanzitutto direi che se una scelta simile da parte del Pdl sarebbe contro gli interessi degli italiani. Ne pagherebbe un prezzo nel momento in cui sarebbero risolte le criticità ancora sul tavolo, come Iva e Imu e quando bisognerà affrontare il nodo della ripresa economica. Sarebbe una scelta omicida nei confronti dell’Italia.
E in quel caso?
Se facesse quella scelta dimostrerebbe di essere un partito ostaggio di Berlusconi che disprezza uno Stato di diritto con regole e norme. Spetterebbe al capo dello Stato fare le conseguenti valutazioni, ovvero verificare un’eventuale nuova maggioranza in Parlamento a sostegno di un governo. Allo stato attuale mi sembra alquanto complicato dialogare con i 5 Stelle o costruire scenari alternativi. In questi mesi hanno dimostrato di essere solo una forza anti-sistema, ma non sono riusciti ad essere né un movimento capace di azzerare tutto né offrire un contributo costruttivo al Paese. Ma ribadisco: un passo alla volta, per quanto ci riguarda non sono ammissibili ricatti di alcun genere. Sarà utile valutare anche cosa accadrà all’interno del Pdl.
Perché la proposta di Alfano a Letta è “irricevibile”, come osserva su Repubblica Massimo Giannini?
Perché non è possibile chiedere al Pd di risolvere, a livello parlamentare o politico, le conseguenze di una sentenza giunta dopo tre gradi di giudizio per reati gravi che riguardano Silvio Berlusconi. Si tratta di una tematica che non è politicamente risolvibile, tra l’altro sarebbe come voler piegare del tutto lo stato di diritto agli interessi di una sola persona. Insomma, come se la legge non fosse uguale per tutti. La proposta è da restituire al mittente e l’abbiamo esclusa sin dall’inizio. La tesi che sosteniamo è che il rispetto della legalità viene prima di tutto, persino della governabilità e della stabilità che come è ovvio sono due elementi fondamentali in un momento come questo.
Questa accelerazione sui destini governativi quanto può influenzare le prospettive congressuali dei democratici?
Credo che in questo momento occorra un governo che governi, dando impulso alle misure contro la recessione, che goda di ulteriore credibilità in Europa e che accompagni il Parlamento nel riformare politica e istituzioni. Ritengo che il governo dovrebbe andare avanti in nome di tali interessi. Ma allo stesso tempo credo che il congresso del Pd si debba fare proprio perché siamo al timone del Paese. Per cui ci occorre rielaborare quei temi anche costruendo una prospettiva politica per il dopo.
Quindi anche al di là del governo di larghe intese?
Certo, in quanto dopo il governo di emergenza ci dovrà essere una proposta politica, per quanto mi riguarda, di cui si faccia carico il Pd. Per cui si dovrebbe lavorare da un lato per affiancare Letta al governo e dall’altro per celebrare entro l’anno il congresso. Ma non sia un appuntamento utile ad accelerare la situazione politica rispetto al destino dell’esecutivo, bensì a ridefinire il messaggio del Pd. E, in una fase successiva, pensare di presentarci davanti agli italiani con una proposta che prenda atto del fatto che Berlusconi potrebbe uscire dalla politica italiana.
Con Renzi alla guida del Pd o come candidato premier?
Credo debba candidarsi alla segreteria del Pd con un progetto chiaro, riformista e definito che indichi una prospettiva-Paese. Una volta affermata la leadership all’interno del partito potrà concorrere alla definizione della premiership. Ricordo che in tutti i Paesi l’affermazione all’interno del partito è un passaggio fondamentale per poi legittimarsi come guida di governo.
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