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Riforma elettorale, ecco la road map (obbligata) da settembre

L’ultimo colpo di scena lo ha riservato il Senato. Che il 9 agosto, con un voto fulmineo e unanime dell’Aula ha incardinato la procedura d’urgenza per la discussione dei progetti di riforma elettorale e ne ha assegnato l’esame alla Commissione Affari costituzionali. Superando nel tempo la Camera, che pochi giorni prima, su impulso di Roberto Giachetti e Gennaro Migliore, aveva deliberato la corsia preferenziale sullo stesso tema. Palazzo Madama sarà dal 2 settembre il teatro del dibattito sul meccanismo di voto che dovrebbe sostituire la legge Calderoli nell’eventualità di un ritorno anticipato alle urne.

Una corsa contro il tempo prima del verdetto della Consulta 

Tra settembre e ottobre i due rami del Parlamento saranno dunque assorbiti dall’analisi delle proposte in campo, che spaziano dal ritorno al Mattarellum – maggioritario di collegio a un turno per tre quarti dei seggi con recupero proporzionale per il 25 per cento – all’adozione del proporzionale tedesco con liste bloccate e soglia nazionale di sbarramento al 5 per cento, dal proporzionale spagnolo con circoscrizioni ridotte e elenchi brevi di candidati senza recuperi dei resti allo scopo di favorire i due partiti principali al ripristino del proporzionale puro della prima Repubblica con introduzione delle preferenze. L’obiettivo è giungere entro i primi giorni di novembre a un testo organico in grado di governare in ogni momento una campagna elettorale.

La road map appare obbligata. Il 3 dicembre è fissata l’udienza e la probabile sentenza della Corte Costituzionale sulla conformità della normativa in vigore ai principi della Carta del 1948 e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Consulta è stata investita da un’ordinanza della Corte di Cassazione, che il 17 maggio ha individuato i nodi critici nell’assenza di un livello minimo per conquistare l’enorme premio di governabilità, nella difformità di attribuzione del bonus di maggioranza per Camera e Senato, nell’impossibilità di scegliere i candidati. Il Parlamento non può trovarsi impreparato rispetto a un verdetto che potrebbe far crollare la sua fonte di legittimazione e di credibilità. Tuttavia una dichiarazione di incostituzionalità finirebbe per lasciare in vita un testo proporzionale puro identico alla normativa vigente dal 1946 al 1992. Ed è qui che la discussione entra nel merito.

Le alternative in campo nel difficile rebus parlamentare 

Per ora le forze politiche hanno cominciato a studiare le rispettive posizioni, muovendosi con diffidenza e cercando di intuire gli scopi reconditi degli avversari. Ma incontri, contatti, negoziati informali sono stati avviati, e i contorni delle alternative sembrano profilarsi. È sufficiente leggere i progetti di legge presentati in Commissione Affari costituzionali del Senato per comprenderne il valore. Un gruppo trasversale guidato da Sinistra e libertà punta a restaurare il Mattarellum, l’unico che si avvicini ai modelli maggioritari uninominali. A promuoverne l’adozione sono i fautori della democrazia competitiva e bipolare, da Sel ai parlamentari del Partito democratico legati a Matteo Renzi, Walter Veltroni, Romano Prodi, dallo stesso Roberto Calderoli ai rappresentanti delle autonomie linguistiche di Valle d’Aosta e Alto Adige.

Un’alleanza eterogenea e imprevedibile nella sua capacità di persuasione nell’ipotesi di voto segreto, che tuttavia non è riuscita a fare breccia nel Movimento Cinque Stelle, attestato tuttora sul disegno di legge di iniziativa popolare del 2007 che invoca l’introduzione delle preferenze nella normativa proporzionale in vigore. Mentre sembra trovare risposte incoraggianti nello stato maggiore del Nazareno, che per iniziativa di Anna Finocchiaro ha ufficializzato un ripristino del Mattarellum corretto da un unico voto per il collegio e per la lista di partito e dall’assegnazione di un premio di governabilità formato dai candidati presenti nella quota proporzionale. Nessun documento a nome del gruppo è stato elaborato dal Popolo della libertà, che non ha mai nascosto la sua propensione per il modello spagnolo, né da Scelta civica, lacerata tra gli esponenti di Italia Futura da sempre inclini al maggioritario di collegio, e la componente cattolica ancorata a una miscela di sistema tedesco e preferenze.

Ma il governo rema per ritocchi mirati al Porcellum 

L’orizzonte maggioritario uninominale che ispira gran parte dei disegni di legge presentati soprattutto a Palazzo Madama è destinato a incontrare gli ostacoli più insidiosi nell’azione del governo. Lungi dal mantenere un fiducioso distacco nel lavoro autonomo delle Camere e convinto che la sua sopravvivenza è strettamente legata al varo di una legge elettorale ponte, Palazzo Chigi avrebbe predisposto un “piano di emergenza” per approvare le norme di salvaguardia entro il 3 dicembre. Preoccupato dagli esiti imprevedibili di un verdetto di condanna del Porcellum, l’esecutivo guidato da Enrico Letta si limiterebbe a intervenire sui punti a rischio bocciatura della Consulta, conservando inalterati la filosofia e l’impianto delle norme in vigore.

Grazie al lavoro sotterraneo portato avanti dal ministro per le riforme istituzionali Gaetano Quagliariello e dal responsabile per i rapporti con il Parlamento Dario Franceschini nel corso di negoziati riservati con i tre partiti della maggioranza, sarebbe pronto un testo proporzionale basato su liste bloccate con la previsione della soglia minima del 40 per cento di voti per conquistare il premio di governabilità, su una clausola di sbarramento al 5-6 per cento, su un bonus di maggioranza nazionale anche per il Senato, su circoscrizioni elettorali più ridotte per arginare la frammentazione. Un progetto che Renzi non ha esitato a liquidare come “Maialinum”. Ma che potrebbe riscuotere l’adesione dei vertici partitici, anche nella versione a cui da luglio sta lavorando nel Comitato dei 42 esperti insediato dal governo Luciano Violante: un ballottaggio nazionale tra le due coalizioni più votate al primo turno con in palio la conquista del premio di maggioranza.

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