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Tutte le pecche di Bertone, il silurato segretario di Stato vaticano

Ancora prima che Benedetto XVI lo nominasse segretario di stato, c’era già chi storceva il naso, nelle stanze ovattate della Curia. Tarcisio Bertone, il salesiano che non è diplomatico, al posto del potente Angelo Sodano. Qualcuno aveva provato a dire a Ratzinger di ponderare meglio la scelta, di tenere in considerazione le osservazioni e le obiezioni di chi sosteneva che privarsi di una figura diplomatica al vertice della Segreteria di stato sarebbe stato un errore. Ma delle beghe interne, della lotta tra fazioni e correnti, a Benedetto XVI è sempre interessato ben poco. Per i posti chiave, lui ha sempre privilegiato il rapporto personale (come accaduto con la nomina di Angelo Scola a Milano, quando il Papa oggi emerito dovette superare più di una resistenza interna), e con Bertone aveva un legame stretto fin dai tempi del lavoro a stretto contatto nella congregazione per la Dottrina della Fede. Dell’ex Sant’Uffizio, infatti, l’ex arcivescovo di Genova fu segretario per sette anni, dal 1995 al 2002.

L’incidente di Ratisbona

Il primo incidente si ebbe con il discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006, che provocò una clamorosa reazione di parte del mondo islamico per i riferimenti a Maometto. “Se ci fosse stato ancora Sodano”, si disse in curia, “una cosa del genere non sarebbe mai accaduta”. Ma anziché attenuarsi, gli incidenti e gli scandali negli anni si sono moltiplicati. Sulla pedofilia, in particolare, dopo aver avviato la grande opera di pulizia (ne è esempio il pugno di ferro usato nei confronti del fondatore dei Legionari di Cristo, padre Marcial Maciel Degollado, ridotto allo stato laicale), la Segreteria di stato non è sembrata in grado di saper reggere l’inevitabile onda d’urto. I dossier sui vescovi che avrebbero taciuto casi analoghi di molestie su minori spuntavano quasi quotidianamente. A Roma, da un lato si professava la linea della lotta per la trasparenza, dall’altra si cercava di circoscrivere il più possibile tali episodi. Copione analogo in riferimento al riavvicinamento con la Fraternità San Pio X.

Il vescovo negazionista e il caso Viganò

Il caso più grave si ebbe nel 2009, in seguito alla remissione della scomunica ai lefebvriani e la gestione del caso del vescovo Richard Williamson, secondo cui “le camere a gas non sono mai esistite”. Da più parti (compreso il Congresso degli Stati Uniti) si alzarono voci per chiedere rettifiche alla posizione della Santa Sede, e anche all’interno della curia ci fu chi colse la palla al balzo per domandare a Benedetto XVI di sostituire il segretario di stato. E’ noto che nell’estate di quell’anno, i cardinali Ruini, Scola, Bagnasco e Schonborn, chiesero al Papa di allontanare Bertone. Ma, secondo anche quanto riferito lo scorso febbraio dal cardinale arcivescovo di Colonia, Joachim Meisner (molto ascoltato da Ratzinger), il Pontefice tedesco avrebbe sempre rinviato al mittente ogni critica sull’operato del suo “primo ministro”. Una fiducia che non è mai venuta meno, neppure quando Vatileaks portò alla luce più di un dubbio sulla gestione della Santa Sede da parte del segretario di stato. Prima, nel 2011, le lettere dell’allora segretario del Governatorato, mons. Viganò, che accusavano Bertone di averlo voluto allontanare (Viganò è stato trasferito alla nunziatura di Washington) in seguito alle denunce circa il malafarre vigente in curia, quindi la questione dello Ior.

La gestione dello Ior e Vatileaks

E’ proprio sulla banca vaticana che Bertone ha rischiato di essere travolto. Il 24 maggio 2012 la Segreteria di stato rese noto un comunicato con cui annunciava la defenestrazione dell’allora presidente, Ettore Gotti Tedeschi. Con toni dall’inusuale durezza, il numero uno dell’Istituto per le opere di religione veniva sfiduciato con una serie di accuse pesantissime, tra cui quella di essere “incapace di fornire spiegazioni sulla diffusione dei documenti in suo possesso”. Una chiara allusione a Vatileaks. In sostanza, si faceva intendere che Gotti Tedeschi era coinvolto a pieno titolo nel complotto mirato a danneggiare il governo di Benedetto XVI. Qualche mese prima, sempre nel torrione di Niccolò V si assisteva allo scontro tra Bertone il cardinale Attilio Nicora circa le competenze in material di antiriciclaggio. A fine 2010, infatti, Papa Ratzinger aveva conferito ex lege la responsabilità sull’antiriciclaggio (potere ispettivo) a un organismo di nuova creazione, l’Autorità per l’Informazione finanziaria. A guidarlo fu chiamato proprio Nicora. Ma due anni più tardi (gennaio 2012), una serie di modifiche alla legge voluta dal Pontefice ridimensionò l’Aif a vantaggio della Segreteria di stato.

Le accuse del pre Conclave

Una questione, quella dello Ior, che è stata a lungo oggetto di discussioni anche nelle congregazioni generali pre Conclave. A Bertone è stata imputata da più di un cardinale la cattiva gestione della banca (ormai celebri sono le critiche del cardinale brasiliano Joao Braz de Aviz) e, soprattutto, la decisione di rinnovare la commissione di sorveglianza a pochi giorni dalla scadenza del pontificato ratzingeriano. Anche perché dal plenum di porporati veniva estromesso Nicora, mentre a Bertone rimaneva la presidenza dell’organismo.


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