Il caos scatenatosi in Medio Oriente, con il collasso delle “primavere arabe” e l’esplosione delle guerre intestine dentro la grande famiglia dell’Islam, non fa altro che amplificare le difficoltà diplomatiche a livello globale.
L’imminente attacco militare in Siria non solo evidenzia tutte le criticità per la sicurezza di Israele e l’alta probabilità dell’estensione del conflitto anche all’Iran ma sottolinea anche la poderosa divergenza fra Stati Uniti e Russia.
Il “reset” di Hillary Clinton, per non parlare del vertice di Pratica di Mare, appaiono distanti nello spazio e nel tempo. Sembra piuttosto di essere ripiombati nel clima della Guerra fredda. L’asilo politico concesso da Vladimir Putin al leaker dell’Nsa, Edward Snowden, ha forse segnato il punto più basso nella storia recente delle relazioni bilaterali fra le due superpotenze.
Mosca ha fatto un grave errore di sottovalutazione oppure un perfido calcolo cinico: i posteri ci diranno, senza aspettare neppure che passi troppo tempo. I taccuini dei giornalisti intanto segnalano l’ennesimo segnale poco confortante. Washington ha infatti annullato il previsto appuntamento di domani all’Aja per discutere con la diplomazia russa per discutere di Ginevra 2, la conferenza di pace dedicata proprio a districare il nodo della Siria. L’incontro, è scritto eufemisticamente in una nota, è stato posticipato. Per ora, non si terrà e non è stata fissata una nuova data. Mosca naturalmente ha espresso rammarico per la scelta della controparte.
Allo stesso tempo i media russi hanno voluto enfatizzare una dichiarazione di Jay Carney, portavoce della Casa Bianca, che per la verità si è limitato ad una osservazione semplicissima: “La Russia ospita il vertice del G20 che si terrà a San Pietroburgo. Così, naturalmente, si incontreranno”, riferendosi ad Obama e Putin. Ai primi di agosto, il presidente Usa aveva annullato la prevista visita a Mosca per dare un segnale tangibile della irritazione dell’Amministrazione per la pesante interferenza nel caso Snowden.
Il 5 e 6 settembre si terrà però il G20 a San Pietroburgo ed è impensabile che i due leader non si incontrino. Tuttavia, dell’ipotesi di un bilaterale, di un colloquio a quattr’occhi, non c’è alcuna conferma, anzi. La tensione fra i due Paesi resta ed anzi si alimenta delle reciproche minacce circa il futuro di Damasco. Per l’ennesima volta il ministero degli esteri russo ha sbraitato che “i pretesti artificiali infondati per un intervento militare nella regione” saranno “gravidi di nuove sofferenze in Siria e conseguenze catastrofiche per Medio Oriente e Nord Africa”.
In una fase convulsa e delicata come questa, in cui rullano i tamburi di una guerra che nelle intenzioni dovrebbe essere lampo (come spiega il Washington Post) ma che potrebbe rivelarsi come l’accensione di una miccia che fa esplodere una bomba ben più grande e devastante, le parole roboanti come quelle usate da Mosca e Teheran non debbono fare impressione più di tanto. Né però possono essere completamente ignorate o sottovalutate.
Sul campo siriano si stanno giocando più partite: quelle fra sciiti e sunniti, fra le diverse anime dei sunniti, il tentativo di egemonia dei salafiti, la prospettiva di un Islam politico e le sue relazioni con la galassia dei movimenti jihadisti, la sicurezza e l’integrità di Israele (che probabilmente è il problema numero 1), i negoziati di pace fra Tel Aviv e le autorità palestinesi nonché le relazioni fra Usa e Russia e fra Occidente e Medio Oriente.
Nel prendere la decisione finale, il presidente Obama dovrà valutare tutti questi fattori, la loro complessità e la loro interdipendenza. Essere inquilini della Casa Bianca è oggi tutt’altro che un lusso.