Il 22 settembre i tedeschi dovranno scegliere il nuovo primo ministro e rinnovare il Bundestag, il parlamento federale, e tutti i componenti del governo. La firma del Foglio Stefano Cingolani ha fatto sul suo blog un’analisi di vizi e virtù del modello tedesco di Angela Merkel che, nelle parole del giornalista e scrittore, si appresta a vincere per la terza volta di seguito le elezioni nel suo paese.
All’orizzonte si scorge “Angela III”
“Due terzi dei tedeschi sono per lei, il 40% è per il suo partito, la CDU, l’Unione cristiano-democratica; a un mese dal voto, il terzo mandato appare certo” sostiene il giornalista, e continua “il suo nome sarà accanto a quello di Bismarck, di Adenaur, del mentore (poi rinnegato) Helmut Kohl”. “Cingolo” continua l’analisi della storia politica della Merkel mettendo a nudo i cambiamenti che la Cancelliera ha imposto alla Germania in questi anni di Governo: “La Germania oggi pensa a se stessa e al proprio Lebensraum (raggiunto grazie all’euro e non alle armate), si disinteressa di quel che accade nel Nord Africa e nel Mediterraneo, guarda alla Cina, ma con gli occhi del mercante, e alla Russia con il tradizionale rapporto di sfida e necessità”.
I sette “vizi” del modello tedesco
Ma le elezioni tedesche non sono solo un affare tedesco. La Germania è uno dei Paesi perno dell’Unione Europea, ha fortemente voluto le politiche di austerità nei confronti di paesi debitori come la Grecia e la Spagna e ora le elezioni per rinnovarne il governo aprono ambiti di riflessione sul modello tedesco. Cingolani ne sintetizza le debolezze in sette punti fondamentali:
“1– Una domanda interna debole. Anche quando tra il 2010 e il 2011 la Germania ha approfittato alla grande della ripresa del commercio mondiale, ha trascinato Italia, Spagna e Francia verso la stagnazione e la recessione. Le imprese tedesche hanno aumentato i loro profitti attraverso una eccessiva compressione dei salari, una vera e propria deflazione retributiva, che ha effetti negativi anche fuori dalla zona euro (per esempio sul prodotto lordo della Svezia finito sotto zero). L’ossessione per la stabilità dei prezzi, la nevrosi anti-inflazionistica, è un boomerang pericoloso.
2– Il rigore spinge in alto l’euro e la Germania ha il culto della moneta forte. Ma ormai siamo a una sopravalutazione sistematica che prima ha penalizzato i paesi del sud e adesso torna indietro come un boomerang. Le imprese italiane e spagnole che hanno resistito alla “distruzione creatrice”, stanno esportando nei paesi extra euro a un ritmo superiore rispetto a quelle tedesche, mentre le loro vendite in Germania ristagnano. E’ una nuova asimmetria densa di incognite.
3– I Bund sono diventati beni rifugio, favorendo la fuga da Bonos e Btp. L’afflusso di moneta ha ridotto i costi di un debito pubblico che supera i duemila miliardi (come quello italiano). Ma la bonanza ha provocato una falsa euforia, perché i rendimenti sono inferiori all’inflazione, quindi chi acquista titoli tedeschi perde soldi. Passata la paura di un crollo dell’euro, i risparmiatori oggi guadagnano comprando Btp e Bonos non Bund.
4– Le banche sono una bomba a orologeria. Quelle locali hanno un patrimonio troppo esiguo (e la maggior parte di loro resta fuori dal mercato unico che partirà nel 2014), quelle grandi sono piene di derivati ad alto potenziale esplosivo (soprattutto Deutsche Bank). Commerzbank, la numero due in classifica, cerca capitali per evitare una completa nazionalizzazione. Che cosa succede se scendono ancora i prezzi delle case? Si discute di nuovo su una bad bank nella quale mettere crediti a rischio e titoli marci. Ma chi paga?
5– I servizi restano in mano a monopoli pubblici refrattari alla concorrenza. Colossi come Deutsche Post sono veri e propri casi di successo, ma nell’insieme il mercato interno tedesco resiste alla penetrazione dal resto dell’Unione europea. Anche l’Italia ne ha fatto le spese, ne sa qualcosa Unicredit.
6– Il rapporto consociativo con i sindacati. La difesa di chi ha il posto fisso è stata pagata da immigrati e precari, consolidando il dualismo nel mercato del lavoro. La riforma Hartz della quale si parla sempre risale ormai a dieci anni fa, le vere novità sono gli accordi neocorporativi nei grandi gruppi raggiunti dopo il 2008.
7 – La politica del Nein in Europa. La Grecia, la Spagna, il meccanismo salva stati, gli interventi della Bce, l’unificazione bancaria: ogni volta la Germania ha puntato i piedi. Paradossalmente, è successo persino con il fiscal compact, la scelta più omogenea alla strategia ordinatrice tedesca.”
Quattro virtù per cancellare ogni dubbio
La Cancelliera è riuscita a mettere all’angolo i partiti di opposizione, sostiene Cingolani, e nel futuro dovrà essere in grado di bilanciare gli interessi divergenti di due pezzi fondamentali dell’economia tedesca: da una parte – continua il giornalista – gli interessi delle grandi banche e delle industrie internazionalizzate a cui non dispiacerebbe affatto un ritorno al marco; dall’altra parte il “Mittelstand“, le piccole e medie imprese fortemente integrate con Italia e Francia, da cui deriva gran parte del pil tedesco e che puntano sulla moneta unica. Secondo Cingolani la Cancelliera potrà giocare molte carte per “mettere a tacere le critiche”, in particolare quattro:
“a– La (quasi) piena occupazione dovuta alla ripresa dello scorso biennio e a una politica attiva del lavoro che la Germania può davvero proporre come modello per l’intera Eurolandia.
b– Berlino può contare su un consenso sociale che rende il paese più compatto e meno esposto alle tensioni che un po’ ovunque sono connesse alla crisi e all’immigrazione. Anche se la difesa del welfare state sta diventando troppo costosa e non è riproducibile in Italia, in Spagna e nemmeno in Francia.
c– La governabilità e la tenuta del sistema politico, nonostante le sue pecche, invia un messaggio ai paesi europei intrinsecamente instabili come l’Italia, ma anche alla Francia che si trova periodicamente nella trappola del presidente debole (Sarkozy, Hollande) o di coabitazioni paralizzanti. L’intervento nella crisi italiana del 2011 e la pressione contro Silvio Berlusconi, sono fonte di avversione verso la Merkel di una destra italiana che prima l’aveva apprezzata. Ma le preoccupazioni sulla sovranità perduta e sulle intromissioni tedesche non sono né infondate né strumentali. I presidenti francesi che corrono a Berlino per baciare la pantofola, del resto, sollevano ondate di polemiche (spesso strumentali) a Parigi. Probabilmente vanno lette dentro questa funzione disciplinatrice che la Germania aspira a esercitare anche in politica.
d– Una economia solida, in grado di sacrificare alla stabilità una crescita più vivace (l’ultimo rapporto della Bundesbank si compiace del fatto che la ripresa avvenga a ritmi blandi, ma costanti), offre ai partner europei un’ancora contro fluttazioni troppo brusche della congiuntura, se la Germania non sceglie di isolarsi dalle turbolenze esterne. E qui veniamo all’Europa”.
I prossimi possibili passi verso un’Europa più unita
Unificazione europea, revisione dei trattati e nuove politiche di ampio respiro, cedere altri piccoli pezzi di sovranità per progredire nella “costruzione del futuro governo europeo” in cui Berlino vorrà avere la giusta influenza. Saranno questi i prossimi passi della Germania della terza era di Angela Merkel, ma per fare questo la cancelliera non potrà non incorrere in politiche impopolari che potrebbero farle perdere consensi, rischio che ancora non ha voluto affrontare.