Ci siamo annusati, poi abbiamo parlato, abbiamo dibattuto, adesso urge la sintesi: o dentro o fuori. Il monito che l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno ha lanciato domenica scorsa in occasione della chiusura della 32a festa tricolore di Mirabello potrebbe trovare in questi giorni la risposta che la destra italiana cerca dopo la balcanizzazione dell’ultimo anno, che ha portato un’identità ad essere sminuzzata in otto sigle, di cui solo una capace di fare ingresso in Parlamento.
Qui Fratelli d’Italia
In questi giorni si tiene a Roma il tradizionale appuntamento di Atreju incentrato sulla nuova guerra economica. Al Parco del Celio dunque l’occasione di un dibattito-incontro tra chi c’era ieri nel Pdl e chi oggi tenta un’altra via per non spostare il baricentro politico. Fitto, Alemanno, Lupi, ma soprattutto Giorgia Meloni, leader in pectore di un nuovo movimentismo a droit che dedicherà la chiusura dell’evento a un binomio fino ad oggi avanzato solo sottovoce, il ticket con Flavio Tosi per una sorta di grandi preparativi in vista delle (future?) primarie. Con occhi indiscreti che oggi hanno avvistato Ignazio La Russa a braccetto con un amico di vecchia data e continuo socio in affari.
Qui La Destra
Francesco Storace ha riunito i suoi a Orvieto lo scorso venerdì, dedicando più volte la prima pagina del suo foglio quotidiano, Il Giornale d’Italia, ad una sorta di aut aut: o senza veti di nessun tipo si torna tutti a sedere allo stesso tavolo oppure non se ne fa nulla. Il riferimento è a quel bacino potenziale da tre o forse anche quattro milioni di voti a cui la destra italiana, se riunita, potrebbe aspirare. Che però preme in rete e con post vivaci per una rapida decisione. Se rinasce Forza Italia, è il ragionamento che fanno molti dirigenti, perché non dovrebbe rinascere una Cosa Nazionale alla sua destra?
Qui Unidestra per la Costituente
Roberto Menia, reggente di Fli, ha lanciato l’idea di strutturare sui territori i Circoli Unidestra per la Costituente. Non un semplice strumento per rimettere insieme cocci di esperienze passate e sentimenti comuni, ma l’occasione di un manifesto per la ripresa che poggi le sue basi su tre punti programmatici: valorizzazione del patrimonio industriale italiano da non confondere con il protezionismo, quindi grande attenzione al made in Italy, al tessile e al manifatturiero, all’industria degli armamenti, ovvero a quelle eccellenze italiane note in tutto il mondo; prudenza verso moti di liberalizzazioni selvagge che potrebbero tradursi in svendite di Stato, con riferimento a Finmeccanica, Eni ed Enel finite nel mirino dei nuovi riformisti renziani; ridefinizione della sovranità nazionale al tavolo di Bruxelles, per evitare all’Italia il “rischio troika”.
Ma al di là del peso specifico delle singole iniziative, ammette a voce bassa un ex parlamentare democristiano, esperto e di lungo corso, l’impressione è che se tutti decideranno di mettere da parte veti e rancori, allora una ricomposizione sarà possibile. Con il beneplacido di chi guarda con insistenza ai 55 milioni di euro “congelati” nella Fondazione di An e di chi, in piazza San Lorenzo in Lucina, non vede l’ora che inizi una fase completamente nuova: nei luoghi e nei volti.
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