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All’assemblea Pd vittoria parziale di Bersani su Renzi

L’8 dicembre potrebbe essere il giorno delle primarie per la scelta del segretario del Partito democratico. Che in seguito sarebbe automaticamente candidato, se pur non esclusivo, alla premiership dei progressisti. È questa la linea che emerge dall’Assemblea nazionale del Pd, in corso a Roma all’Auditorium della Conciliazione. La proposta, formalizzata da Guglielmo Epifani nella relazione di apertura, è frutto del compromesso raggiunto in seno alla Commissione incaricata di redigere le regole per il congresso.

Regole che dunque verranno modificate rispetto alla competizione dell’autunno 2012 fra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani. Accogliendo le richieste delle aree più legate all’esperienza del PPI e dei DS convergenti nel sostegno a Gianni Cuperlo e respingendo le tesi portate avanti dal primo cittadino di Firenze e dai suoi supporter, l’organismo congressuale ha stabilito una marcata separazione tra l’investitura di segretario e candidato premier. Allargando a esponenti del Nazareno diversi dal leader che verrà eletto a dicembre la possibilità di correre per Palazzo Chigi. È una vittoria, ancorché parziale, dell’offensiva promossa da Bersani contro “la visione di partiti personali con un uomo solo al comando” e che si riassume in poche eloquenti parole: “Qui stiamo parlando del segretario del partito. Quando sarà il momento di fare il candidato premier avremo le primarie ed è ovvio che la gente si rivolgerà a chi è in grado di vincere meglio. Ora stiamo parlando invece di come insediare un partito che sopravviva ai leader, ai Bersani e ai Renzi”.

Un compromesso che registra il consenso di quasi tutti gli aspiranti leader

La mediazione raggiunta nella Commissione, che prevede inoltre la celebrazione dei congressi regionali dopo le primarie nazionali, per ora sembra incontrare il consenso delle varie anime del Nazareno nonché di tre aspiranti leader come Renzi, Cuperlo, Gianni Pittella. Unica eccezione Giuseppe Civati, fermamente contrario al cambiamento in corsa delle regole del gioco e “all’assenza scandalosa e stupida di un’autentica discussione tra delegati e dirigenti del partito, in grado di andare oltre le sterili polemiche sulla data delle assise”. È proprio lui, al contrario del più prudente sindaco del capoluogo toscano, a farsi interprete dell’originaria vocazione maggioritaria del Pd e dell’esigenza di rinnovarne l’intero vertice, rivendicando il valore di “consultazioni aperte a tutti libere dal timore delle infiltrazioni del centro-destra. Altrimenti non viene più nessuno a votare e noi proseguiamo a perdere consensi e iscritti”.

Il punto toccato da Civati appare più che mai dirimente, poiché riguarda l’individuazione della platea che dovrà scegliere il segretario del Pd a dicembre. Appurato che non sarà aperta a tutti gli elettori come per l’elezione del candidato premier, la riflessione ruota attorno alla sua estensione. Le persone che potranno votare il nuovo leader dovranno essere esclusivamente gli iscritti o anche i simpatizzanti privi di una tessera di adesione? È previsto un albo di registrazione dei partecipanti e la sottoscrizione pubblica di un atto di condivisione dei valori del Partito democratico? Si tratta di temi cruciali, tuttora in fase di elaborazione, che nella giornata di oggi verranno tradotti in proposte e votati dall’Assemblea.

La relazione di Guglielmo Epifani 

Nel suo intervento introduttivo delle assise preparatorie del congresso, l’attuale leader del Pd torna a denunciare la volontà di Silvio Berlusconi di imporre l’egemonia del centro-destra sul programma del governo di larghe intese e abbandonare del tutto l’orizzonte di un esecutivo di pacificazione. Ed esorta a respingere con fermezza “i ricatti inaccettabili mescolati a blandizie in relazione al problema della decadenza del Cavaliere dal seggio di senatore”. Focalizzare tutta l’attenzione sul rapporto tra le vicende giudiziarie del Cavaliere e i loro riflessi sulla vita politica, rimarca l’ex segretario della CGIL, rende più difficile l’opera del “governo di servizio” guidato da Enrico Letta. La cui eventuale caduta “sarebbe contraria alle stesse convenienze del PDL”.



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