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Cosa ha detto al Congresso un fiducioso Obama

Il Congresso darà il via libera all’intervento militare in Siria. Ne è convinto il presidente americano Barack Obama, che nonostante l’acceso dibattito interno si è detto “fiducioso” in un voto positivo alla sua proposta.

Parlando in un incontro nella Cabinet Room della Casa Bianca con alcuni membri chiave del Congresso, il leader Usa ha ricordato come dal suo punto di vista il conflitto siriano “non è l’Iraq e non è l’Afghanistan“, teatri di guerre lunghe e logoranti, ma “un passo limitato e proporzionato che manderà un messaggio non solo al regime di Assad, ma anche agli altri Paesi che avessero intenzione di mettere alla prova le regole internazionali, su quali sarebbero le conseguenze“.

L’intervento in Siria, ha continuato Obama spiegando le sue ragioni ai leader che lo ascoltavano, non vuole essere solo un attacco al regime di Damasco, ma rientrerebbe in una “più ampia strategia per rafforzare l’opposizione ribelle siriana e nelle iniziative per aumentare la pressione diplomatica ed economica richiesta per consentire alla Siria di liberarsi finalmente dalla terribile guerra civile in corso da due anni e mezzo”.

Un progetto articolato dunque, che nelle intenzioni del presidente americano consentirebbe a lui e agli Stati Uniti di non perdere credibilità sul piano internazionale dopo i ripetuti ultimatum lanciati a Damasco, compreso quello relativo al superamento della “red line“, ovvero l’uso di armi chimiche di cui il regime di Assad è accusato dall’intelligence a stelle e strisce e che lo stesso Obama aveva fissato come limite invalicabile prima di un intervento militare contro il dittatore siriano.

Il presidente americano ha poi auspicato che Capitol Hill dia il suo via libera al raid in Siria già “all’inizio della settimana prossima“. La situazione ha aggiunto, “rappresenta una grave minaccia per la sicurezza nazionale per gli Stati Uniti e per la regione. Di conseguenza Assad deve essere ritenuto responsabile. Per questo motivo abbiamo in programma audizioni al Congresso a cui chiediamo un voto in tempi rapidi. Sono convinto – ha concluso Obama facendo leva sull’orgoglio statunitense – che dovremmo attaccare, ma credo che saremo più forti se agiamo assieme, uniti come nazione“.

All’ottimismo del leader Usa fanno però da contraltare le analisi di diversi osservatori. Nella partita siriana – si legge in diversi commenti – tutti hanno solo da perdere. Democratici e repubblicani sono divisi su tutto, ma su un punto si trovano d’accordo: un eventuale attacco militare non porterebbe loro nemmeno un voto. Anzi, una nuova guerra, in più in Medio Oriente, comporta per tutti e due un rischio elettorale serio in vista delle elezioni di midterm dell’anno prossimo, come evidenzia Politico. Gli strateghi parlano di “all risk, no reward proposition“. I democratici necessariamente dovranno seguire il Presidente, ma una pattuglia, non si sa quanto piccola di “pacifisti” potrebbe sfilarsi. Spaccata anche la destra: da un lato c’è il fronte isolazionista libertario, vicino al Tea Party, attento alla spesa pubblica che non ha nessuna voglia di finanziarie una guerra di “Obama”. Dall’altro, ci sono i “falchi” neoconservatori, che invece vorrebbero un intervento militare più imponente, per dare una lezione non solo ad Assad ma anche all’Iran e probabilmente alla Russia, sospettata di muovere i fili nell’ombra.

E proprio alla distensione dei rapporti col Cremlino sono affidate tutte le speranze di Obama per una risoluzione in tempi brevi di molte tensioni internazionali, compresa quella in Siria.



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