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Il Papa scrive a Scalfari, meriti e rischi

Il Papa legge anche i giornali italiani, oltre al Clarin di Buenos Aires. Scherzi a parte, la riprova si è avuta oggi, dando una rapida occhiata alla prima pagina di Repubblica. Francesco ha scritto una lunghissima lettera (occupa tre pagine) al principale quotidiano progressista italiano. La sua è una risposta agli interrogativi di Eugenio Scalfari, “pecorella smarrita”, “non credente e non alla ricerca di Dio”. Il fondatore di Repubblica aveva posto molte domande al Papa preso quasi alla fine del mondo in due articoli pubblicati il 7 luglio  e il 7 agosto.

L’assoluto, la Trinità, la coscienza
I temi erano i più diversi: l’assoluto, la verità, il mistero della Trinità, il Dio incarnato, la morte di Dio una volta che la nostra specie sarà scomparsa. Questioni non da poco, insomma, alle quali il Pontefice ha dato risposta, pur “andando al cuore delle sue considerazioni” e non “seguendo passo passo le argomentazioni da Lei proposte”. Punto centrale, la necessità di riattivare un dialogo proficuo “aperto e senza preconcetti che apra le porte per un serio e fecondo incontro” tra chi crede e chi non crede. Francesco alterna le risposte a Scalfari a racconti della propria esperienza personale, all’incontro con Gesù, alla fede “simbolo della luce che spesso è stata bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione”. Risponde, infine, anche al dubbio che non solo il fondatore di Repubblica, ma ogni cristiano, si pone: cosa ne sarà di Dio dopo la scomparsa della specie umana? “Dio non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo. Dio è realtà con la “R” maiuscola. Non dipende, dunque, dal nostro pensiero. Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell’uomo sulla terra – e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno –, l’uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l’universo creato da lui”. Ma Dio sarà “tutto in tutti”, “nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa”.

Il Papa non è più ieratico
Il Papa che scrive una lunga lettera a un quotidiano (per di più progressista) è indubbiamente un fatto significativo e irrituale. Se lo si vede nell’ottica del “percorso” fin qui perseguito da Bergoglio, però, non appare cosa così sorprendente. Dopotutto, il giorno dopo l’elezione, Francesco alzò la cornetta per telefonare il proprio edicolante di fiducia a Buenos Aires, e nei mesi seguenti (l’apice durante la scorsa estate) ha telefonato a più d’una persona che gli aveva inviato una lettera in cui chiedeva chi un consiglio, chi aiuto, chi di fare chiarezza su dubbi non solo legati alla fede. Un Papa che telefonasse a sconosciuti (al telefono fisso, tra l’altro) non si era mai visto. Nonostante da cinquant’anni i Pontefici non portino più la tiara sul capo, era comunque rimasta intatta l’idea che il Papa, Vicario di Cristo, fosse una figura ieratica, lontana. In sei mesi, Bergoglio ha rovesciato questo piano. Scende dalla jeep in piazza san Pietro, si fa abbracciare da signore in canottiera appostate dietro le transenne, si diverte nel raccogliere rosari, peluche e santini che gli vengono lanciati da qualche metro di distanza. Le foto parlano chiaro. Lui ha bisogno di contatto reale, fisico. Di stare in mezzo al gregge. Lo ha detto più volte, anche nell’ormai celebre intervista aerea dopo le giornate intense trascorse a Rio de Janeiro. E ancora prima, quando lo scorso maggio manifestò pubblicamente il rammarico per non poter più confessare liberamente, uscendo fuori dalle mura leonine, dal Vaticano.

Il rischio di farsi coinvolgere nel dibattito sui giornali
Il Papa callejero, abituato a percorrere le strade di Buenos Aires in metropolitana o a piedi, chiuso tra i giardini vaticani e il colonnato del Bernini. Ecco perché, appena può, Francesco “scappa” senza scorta. Come ieri durante la visita al Centro Astalli per i rifugiati e i richiedenti asilo. Scrivere lettere, telefonare, è un altro modo di evasione, insomma. Un modo per non sentirsi solo (e di solitudine il Papa ha parlato più d’una volta, sia a Santa Marta, sia in San Pietro, quando prima di Pasqua ammonì sul rischio di avere preti soli e tristi). Ma anche un modo per partecipare direttamente al dibattito sociale, non rimanendo chiuso ai piani alti del Palazzo apostolico. Il rischio di fraintendimenti (a partire da titoli forzati e non corrispondenti al pensiero espresso) è però molto alto. Compreso quello di essere coinvolto in dibattiti sui giornali.

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