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Ecco come Letta vuole attrarre investimenti esteri in Italia

Il governo scommette su un nuovo progetto per rilanciare gli investimenti stranieri in Italia e cercare di portare capitali freschi nel Paese. Una mossa annunciata lo scorso 12 luglio dal premier Enrico Letta al termine del Consiglio dei ministri e che prende forma in queste ore in un documento che nelle intenzioni verrà presentato ufficialmente nel prossimo consiglio dei ministri.

DESTINAZIONE ITALIA
Destinazione Italia, questo il nome del piano al vaglio dell’esecutivo, basato su “una politica organica e strutturale” che aiuti anche la “competitività delle imprese italiane“, si legge nell’ultima bozza messa a punto.
Attrarre investimenti stranieri è considerato un obiettivo primario per il governo, perché consentirebbe “di sostenere la ripresa dell’economia, oggi che debito pubblico e impegni di bilancio limitano la capacità di spesa, e comporta vantaggi in termini di know-how e ricerca“.

LE SINDROMI (E I RISCHI) DA ARGINARE
La proposta dell’esecutivo guidato da Letta pone l’accento anche su una sorta di “gap” culturali che caratterizzerebbero l’Italia, ma che molti osservatori considerano rischi concreti per la nostra economia.
Per il governo la Penisola soffrirebbe di una “sindrome dell’outlet”, per cui attrarre investimenti significherebbe “svendere allo straniero” per fare cassa, un timore espresso da molti in merito a un piano di privatizzazioni che coinvolgerebbero i cosiddetti campioni nazionali: Eni, Enel, Finmeccanica. Secondo Palazzo Chigi è vero piuttosto il contrario. “In un mondo globalizzato, attrazione di investimenti significa crescita ed è l’opposto di delocalizzazione: per non far fuggire all’estero il Made in Italy, si deve far entrare il mondo in Italia“.
E poi il governo condanna il neo campanilismo vittimista che attraverserebbe il dibattito pubblico: basta con un’altra sindrome, quella di “Fort Apache”, che spinge a dire che “siamo in declino, alziamo muri per chiuderci e difendere così quello che ci resta“.

I PRIMI PASSI
Quanto ai tempi, Il Sole 24 Ore illustra che “i superesperti coinvolti in prima battuta nel lavoro – Fabrizio Pagani (Palazzo Chigi), Alessandro Fusacchia (Affari Esteri), Stefano Firpo (Sviluppo economico) – hanno ormai confezionato le loro proposte e il piano potrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri la prossima settimana. Il “visto” del Cdm – si legge in un articolo del quotidiano di Confindustria – “servirebbe a dar forza al documento che a quel punto potrebbe essere illustrato per la prima volta in uno scenario internazionale dal premier Enrico Letta e dal ministro degli Affari esteri Emma Bonino” qualche giorno dopo in occasione dell’assemblea generale dell’Onu in programma a New York. Successivamente, probabilmente con il Decreto del fare 2, alcune proposte “dovrebbero essere suggellate in norme di legge“.

COSA C’È NEL PIANO
Il piano del governo potrebbe puntare su un pacchetto di liberalizzazioni delle concessioni balneari, un percorso già iniziato dall’esecutivo Monti e arenatosi per il rischio di una maxi multa Ue. Ora il dossier potrebbe essere riaperto con l’avvio di nuove gare, sanando la nostra posizione nei confronti di Bruxelles.
Notizie positive nel settore delle locazioni, nel quale dovrebbe scattare la liberalizzazione per i grandi affitti a uso commerciale che allineerebbe la normativa italiana a quella comunitaria .
Modifiche in vista anche per il cambio di destinazione d’uso, che dovrebbe diventare più semplice per i grandi investitori accelerando ad esempio investimenti nel settore turistico. Verrà prevista una finestra temporale, probabilmente un anno, per effettuare il cambio di destinazione d’uso, a volumi e sagome comunque invariati, trasformando ad esempio un ufficio in albergo.

DALLE PAROLE AI FATTI
Ben venga il piano del governo, dunque, commenta il giornale di Confindustria, secondo cui “la bozza è un compendio di proposte, ben 35, che se attuate sarebbero in grado di rimettere in moto la competitività del sistema Paese“, soprattutto se saprà “dare certezze… su materie strategiche come fisco, giustizia, ricerca, semplificazione di una burocrazia asfissiante“. Ma il quotidiano economico avverte: “Il piano nasce come raccolta di proposte, da trasformare rapidamente in atti (normativi e non)“: servirebbe “a poco o nulla” se rimanesse solo sulla carta.

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