Quattro ore in piazza san Pietro, centomila persone presenti. Cattolici, protestanti, ortodossi. Ma anche tanti ebrei, musulmani e non credenti. Il silenzio è stato la cifra caratterizzante della veglia presieduta ieri sera da Papa Francesco; momento di preghiera per la pace. Non solo in Siria, benché i venti di guerra su Damasco fossero stati il pretesto per il grande raduno organizzato appena sette giorni fa. Ma pace anche “in Medio oriente nel mondo intero”, ha detto Bergoglio concludendo la sua omelia. Un intervento forte e intenso, il suo. Tutt’altro che banale e costruito attorno al semplice “no alla guerra”.
“Mettere da parte i propri interessi”
Il Papa è andato più a fondo, ha parlato di armonia e caos, di uomo che è incapace di custodire il proprio fratello. “Quando l’uomo pensa solo a sé stesso, ai propri interessi e si pone al centro, quando si lascia affascinare dagli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina tutto. E apre la porta alla violenza, all’indifferenza, al conflitto”, ha affermato il Pontefice. E poi il monito: “In ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. E anche oggi continuiamo questa storia di scontro tra i fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello”. Il fatto è, aggiungeva Francesco, “che noi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi”. E’ questo il punto: interessi di parte che devono essere messi da parte. L’aveva già detto domenica scorsa all’Angelus. Solo così si potrà giungere a quella riconciliazione pacifica e frutto di un negoziato che è l’obiettivo primario della diplomazia della Santa Sede.
Tornare al diritto internazionale
Diplomazia, appunto. Non a caso, in un’intervista pubblicata sabato su Avvenire, il cardinale francese Jean-Louis Tauran (diplomatico, attuale presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e già segretario per i Rapporti con gli stati per tredici anni) sosteneva che “quanto sta succedendo in Siria, più dura e più si complica”. Ecco perché “si deve tornare al dialogo sincero e al diritto internazionale. La cosa che più mi impressiona – nota Tauran – è che ormai tutti parlano di lenta agonia, e questo è molto triste”.
L’attivismo diplomatico della Santa Sede
Da settimane, ormai, la Santa Sede è in prima linea nell’opporsi allo strike limitato contro il regime di Bashar el Assad. Francesco, da non diplomatico, ha voluto che ogni ufficio competente fosse messo all’opera nel tentativo di scongiurare l’escalation bellica. Ogni mezzo può contribuire alla causa: Twitter (invaso da continui messaggi monotematici del Papa), l’Osservatore Romano (che al caso siriano dedica pagine intere). E’ una mobilitazione delle coscienze, prima di tutto. E se il sabato sera il Pontefice organizza una veglia in piazza san Pietro, in Vaticano si continua a lavorare. Contatti riservati, appelli ai grandi della Terra, riunioni informali.
I contatti con il governo di Damasco
Tutto può essere utile, ha fatto sapere Francesco. E proseguono i contatti anche con il governo siriano, se è vero che – come ha dichiarato il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Lombardi, il nunzio a Damasco, mons. Zenari, fa da tramite tra Roma e le autorità del paese guidato dal clan degli Assad. Ancora non operativo (almeno ufficialmente) è invece il neosegretario di Stato, mons. Pietro Parolin. In un’intervista concessa al “Diario cattolico” del Venezuela e ripreso da Vatican Insider, il nunzio vicentino ha detto di non essere “ancora operativo. Assolutamente no. Prenderò il mio incarico il 15 ottobre e fino ad allora eserciterò, con l’aiuto di Dio, la mia funzione attuale. Inoltre, ho già sufficienti carichi di lavoro qui in Venezuela”.