“Scalfari ha trovato in Bergoglio, e nella sua cifra immediata di sapersi porre al mondo, uno straordinario interlocutore: penso alla Chiesa di prossimità, al Dio dei poveri”. L’agenda insomma è cambiata. Così Carlo Marroni, vaticanista del Sole 24 Ore, e autore per Rizzoli de “Le Mani sul Vaticano”, sulle trame alla base del conclave, commenta con Formiche.net la primizia della lettera scritta da Papa Francesco a Repubblica.
Irrituale e inaspettata: come pesare la risposta di Papa Francesco a Eugenio Scalfari?
Scalfari lo aveva sollecitato in maniera molto interessante con due articoli, tra l’altro da anni si cimenta su temi alti come la ricerca di Dio. Su questo, devo dire che il Pontificato di Ratzinger ha probabilmente stimolato, per un laico illuminato come il fondatore di Repubblica, la voglia di porsi su un campo come questo.
E’ stata questa la cifra del Pontificato di Benedetto?
Il dialogo su fede e ragione, ovvero un impianto teologico molto alto ma anche molto occidentale e sofisticato. Ricordiamo che ha dato avvio all’iniziativa che ha poi portato avanti il cardinale Ravasi del Cortile dei Gentili, una questione senza dubbio di elité, ma che deve essere anch’essa coltivata dalla Chiesa accanto alla predica alle masse. Scalfari ha trovato in Bergoglio e nella sua cifra immediata di sapersi porre al mondo, uno straordinario interlocutore: penso alla Chiesa di prossimità, al Dio dei poveri. L’agenda è cambiata.
Come valuta il modo scalfariano di rapportarsi al Pontefice?
In sostanza Scalfari ha visto in quel vicario di Cristo una figura che è tornata in mezzo alla gente e l’ha sollecitato ad esprimersi su cosa debba fare un non credente. E la risposta del Papa ha stupito certamente per la modalità, in un ennesimo strappo comunicativo di Bergoglio.
Un Papa che telefona a sconosciuti non si era mai visto: quanto c’è di casuale e quando di programmato in questi gesti?
Non è marketing, perché quei casi di gesti esteriori si possono commettere una sola volta. La seconda non riescono più bene, la terza poi un disastro. Chi non possiede l’istinto di muoversi così nella quotidianità della vita, non riesce a farlo. Non sta a me fare di Papa Francesco un santo sul campo, ma il fatto di essere semplice non è solo uno slogan da lanciare o una cartolina da appiccicare bensì uno degli elementi fondanti della sua missione. Conosco diverse persone che lo frequentano: abita a Santa Marta non perché vuol far vedere di essere un bravo cristiano ma perché pensa che vivere nell’appartamento papale sia sbagliato, come sbagliato sia muoversi con auto di lusso.
Cosa emerge da quella lettera a Repubblica?
La lettera è una sorta di compendio all’Enciclica Lumen Fidei dove lui spiega ciò che è già stato detto ma lo fa con un linguaggio immediato. L’Enciclica è stata scritta a quattro mani, buona parte era di Ratzinger, mentre la seconda parte è più bergogliana. Qui il Papa allarga lo spettro, va più a fondo, spiega alcuni passaggi con parole proprie. Una cosa che mai aveva fatto fino ad ora, e non nei discorsi pubblici a cui abbiamo assistito.
Una modalità di comunicazione innovativa…
Bergoglio si rende conto di quanto sia importante la stampa italiana, non si occupa dell’Italia come facevano Ruini o altri per influire sulle maggioranze o per caldeggiare certe leggi. Ma ha compreso che la cara nazione italiana è un hub comunicativo irrinunciabile verso il mondo. Lui ha parlato con uno dei principali quotidiani italiani perché conosce l’importanza del nostro Paese. Inoltre su questo tema l’autorevolezza di Scalfari credo non abbia pari.
A proposito di novità rivoluzionarie, quante ve ne sono nelle aperture del neo Segretario di Stato vaticano, mons. Pietro Parolin, sul celibato dei sacerdoti?
E’ un tema di cui si doveva discutere e non è la prima volta che viene fuori. Si ragionerà non per cambiarlo ma per restituirgli un corpo e una forza. Credo, ma è un’opinione personale, che si andrà a lavorare su temi meno possenti e più di confine come i divorziati. Sul celibato ho qualche dubbio.
Come ha valutato il digiuno di sabato scorso per la Siria?
Papa Francesco sulla Siria ha detto cose che né l’Europa né alcun organismo sovranazionale avevano mai messo in fila: è necessario che tacciano le armi, si ritorni al negoziato, preservare l’unità territoriale della Siria, tutelare tutte le minoranze. Intendendo tutte, perché oltre ai cristiani ci sono sciiti, alawiti, mettendo in serie alcune pregevoli considerazioni politiche oltre uno sterile pacifismo. E poi nell’Angelus di domenica ha parlato di guerra che si fa per il commercio delle armi. Riflettiamoci: erano temi che non erano mai stati messi pubblicamente in luce da nessuno.
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