L’opacità che contraddistingue il regime dittatoriale siriano si estende alle sue capacità di produrre e utilizzare armi chimiche, principale capo d’accusa nella crisi internazionale che potrebbe scatenare l’attacco degli Stati Uniti d’America.
Nessuno è in grado di dire con certezza quanto vasto sia questo tipo di dotazione, ritenuta da alcuni analisti la più grande del Medio Oriente e la quarta al mondo.
Ciò non toglie che un arsenale chimico siriano esista senz’altro. La dottrina militare di Damasco – supportata dal fatto che non ha mai firmato la Chemical Weapons Convention (CWC) per impedirne la proliferazione – cerca, secondo diversi analisti, di compensare la scarsa qualità delle proprie forze convenzionali con la disponibilità di un ragguardevole arsenale di agenti neurotossici.
LE ORIGINI DELL’ARSENALE
La nascita dell’arsenale chimico siriano – si legge sulla Stampa in un articolo a firma di Maurizio Molinari – risale alla vigilia della guerra del Kippur del 1973, quando l’Egitto fa arrivare le prime forniture di gas mostarda e sarin.
Da allora Hafez al-Assad, padre di Bashar, decide di rivolgersi a Mosca, puntando sulle armi chimiche per bilanciare la superiorità militare di Gerusalemme.
Dalla metà degli anni Ottanta iniziano gli acquisti in Europa e Asia di materiali e sostanze necessarie a realizzarli: nel 1983 arrivano dalla Germania ampolle resistenti alle corrosioni e equipaggiamenti da laboratorio e nel 1989 Pechino recapita 11 mila maschere antigas, mentre nel maggio 1992 Assad acquista dall’India 45 tonnellate di precursori per gas nervino.
Stati Uniti e Israele si convincono che Assad acquista da Mosca le armi più avanzate e al tempo stesso accelera la produzione di quelle più rudimentali. Nel giugno 2002 due cargo dell’aviazione irachena trasportano a Damasco armamenti chimici di Saddam.
Lo shopping europeo di Damasco prosegue con Bashar al-Assad e si svolge anche in Gran Bretagna dove, fra il 2000 e 2001, acquista precursori chimici e, secondo The Independent, continua fino al gennaio 2012 quando – a guerra civile iniziata – un’azienda britannica viene autorizzata a vendere ai siriani sostanze “dual use” – possibili da usare a fini militari – per sei mesi.
Secondo uno studio di Globalsecurity gran parte della tecnologia per la produzione di gas è stata acquistata con transazioni in Olanda, Svizzera, Francia, Austria e Germania. L’esistenza dell’arsenale chimico siriano si deve in gran parte agli aiuti ricevuti dall’esterno anche se ora è in grado di produrre i gas da solo.
In particolare Mosca avrebbe fornito per decenni istruttori, agenti chimici e vettori a Damasco consentendole di sviluppare uno degli arsenali più avanzati del mondo.
ARMI E CAPACITÀ PRODUTTIVA
Ma in cosa consistono nello specifico le capacità di chemical warfare siriane? Si ritiene che attualmente la Siria disponga fra le 500 e le 1000 tonnellate cubiche di aggressivi chimici.
Il regime siriano – si apprende in un report a cura di Pietro Batacchi, direttore di Rivista Italiana Difesa – possiede una capacità di piena produzione autonoma di allucinogeni, avanzati agenti binari, e comunque di nervini, sarin (in primo luogo), tabun e VX, nonché di quelli riconducibili alle diverse varianti dei gas mostarda (noti anche come gas vescicanti).
Damasco è in grado di produrre una quantità significativa di circa 2 milioni di tonnellate annue di fosfati per una riserva stimata attorno a 2 miliardi di tonnellate.
Tuttavia la capacità produttiva chimica “weaponizzabile” siriana, secondo la maggior parte degli esperti in materia potrebbe giungere, in caso di massimo impegno, a poche centinaia di tonnellate annue di aggressivi.
I SITI DI RICERCA, PRODUZIONE E STOCCAGGIO
Le armi chimiche siriane – illustra in una mappa il sito d’informazione libanese Ya Libnan – sarebbero messe a punto in due centri di ricerca a Damasco, per poi essere prodotte in tre fabbriche a Latakia, Al Safira e Hama, ai quali secondo altre fonti se ne sommerebbero tre nei pressi di Homs, Palmyra e Cerin.
La “weaponizzazione” e lo stoccaggio invece – si legge in un briefing a cura del Centro Studi Internazionali presieduto da Andrea Margelletti – avverrebbero in tre siti: la base dell’Esercito di Mount Kalmun a sud di Damasco, quella dell’Esercito nel sobborgo di Dummar (5 km da Damasco) e di nuovo in quella Aerea di Al Safira, nella regione di Aleppo. Altri siti minori, e dedicati al solo stoccaggio degli aggressivi in questione, sarebbero stati rintracciati nelle vicinanze di al-Furqlus, Dumayr e Khan Abu Shamat.
Pare tuttavia che il raid in fase di preparazione non colpirà tali installazioni per paura di danni collaterali.
I VETTORI PER GLI AGENTI CHIMICI
Gli agenti chimici prodotti dall’industria siriana verrebbero poi utilizzati attraverso un vasto numero di sistemi missilistici balistici fra SCUD-B, il derivato nordcoreano HWASONG-6, SCARAB, M-600 (copia locale dell’iraniano FATEH-110), ZELZAL-2 e -3 e più vecchi (e chissà quanti realmente operativi) FROG-7. Solo dei primi 2 sistemi sarebbero stati più volte testati lanci con testate caricate con VX, forse di design nordcoreano (mentre dei restanti non si è mai avuto notizia di tentativi di adattamenti per uso di guerra chimica).