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Sul patto sindacati-Confindustria ha ragione Saccomanni. E Letta lo sa

Impossibile prendere una toppa del genere davanti a una platea come quella di Cernobbio, commentavano ieri fonti della maggioranza. Altri, più buoni, spiegavano: il problema è proprio quello di un pubblico – quello del workshop Ambrosetti – attento ai problemi economici tanto quanto alle ricadute politiche. Il premier Letta si è concentrato su queste, il ministro Saccomanni sui primi.

Ma il risultato è stato, come minimo, d’effetto. Il presidente del Consiglio e il ministri dell’Economia si sono espressi in termini opposti sul tema cardine della politica economica: la riduzione del costo del lavoro e il rilancio dell’economia secondo la ricetta di sindacati e Confindustria.
Per Saccomanni il Patto di Genova è irrealistico: «Un conto della spesa molto elevato e immediatamente posto a carico del bilancio statale con poco realismo». Nella versione di Letta, l’accordo di Cgil Cis, Uil e viale dell’Astronomia siglato alla festa del Partito democratico è diventato invece «un fatto importante e positivo». Perché le parti sociali lavorano «per contrastare le tensioni e per la pace sociale».

Una divergenza di fondo tra i due palazzi più importanti del governo che ne ricorda un’altra, recente ma rimasta in sordina. Nelle prime bozze del decreto Imu, il ministro dell’Economia aveva inserito l’Irpef sulle seconde case sfitte. Un modo per fare tornare facilmente i conti del provvedimento, ma fu depennato – senza informare il dicastero competente – da Palazzo Chigi.
Andando più indietro, non si può non pensare all’irritazione che trapelò da Palazzo Chigi, quando dal ministero di via XX settembre uscirono scenari sulle coperture che non lasciavano speranze sull’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Prudenza ragioneristica che rischiò di creare il collasso politico della maggioranza.

Questa volta però è diverso e il braccio di ferro (che è stato chiaramente negato sia da Palazzo Chigi, sia dal ministero dell’Economia) non potrà che vincerlo Saccomanni.
Il patto delle parti sociali ha un costo insostenibile. Renato Brunetta ha calcolato una cifra tra i 40 e i 50 miliardi di euro. Secondo il ministero dell’Economia per accontentare tutti ne bastano 15, cioè solo quelli necessari a ridurre il cuneo fiscale.

In realtà è una cifra sufficiente solo a coprire un alleggerimento del costo del lavoro per le imprese, per i lavoratori serve almeno il doppio. La contrarietà che arriva da via XX settembre riguarda le coperture. Sindacati e imprese non le hanno indicate. Ma scende anche nel merito: le parti sociali non hanno nemmeno proposto qualche contropartita per la loro «lista della spesa», ad esempio investimenti (da parte delle imprese) o maggiore flessibilità sul lavoro (merce rara nelle trattative quando al tavolo siedono le tre confederazioni al completo).

Di fronte a questa evidenza, anche da Palazzo Chigi arrivavano interpretazioni a dir poco prudenti. L’apprezzamento di Letta al Patto di Genova è stato tutto politico, per il metodo e il clima positivo.
La valutazione sul merito arriverà più tardi e non sarà molto diversa da quella di Saccomanni.


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