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Telecom, Grillo e il prêt-à-porter

Una volta si diceva piove, governo ladro. Oggi, visto che il tempo è ancora buono, si dice Telecom va agli spagnoli, governo colpevole, o intervenga, o qualche altra cosa del genere. L’importante, insomma, è sparare sull’esecutivo, e fa niente se la tanto vituperata “cessione di Telecom alla Spagna” è in realtà un aumento della quota di Telefonica – che già deteneva la maggioranza – in Telco, che controlla l’ex monopolista delle tlc italiane con poco più del 20%. Insomma, una cessione che a ben guardare era già, di fatto, avvenuta.

Ma si sa, le semplificazioni ad uso politico sono sempre in agguato. E tra un Migliore e una Meloni, senza dimenticare qualche esponente della maggioranza che vuole distinguersi, non poteva mancare la solita canea propagandistica di Beppe Grillo.

Che inizia il suo post con tono grave, “l’Italia perde un altro pezzo”, prosegue con un dito nell’occhio a D’Alema “primo responsabile di questa catastrofe”, definisce la vecchia Telecom “un patrimonio costruito con le tasse di generazioni di italiani” – confondendo più o meno volutamente tasse e bollette – ricorda i debiti della società seguiti alla privatizzazione, 30 miliardi, no 41, e infine si chiede chi ci abbia guadagnato, seminando il dubbio che quei soldi se li siano messi in tasca i soliti cattivoni, “i partiti”, come al solito tutti, senza distinzione.

E già questo basterebbe, almeno a convincere i suoi discepoli. Ma Beppe non è contento, come al solito non vuole vincere ma stravincere. E quindi scodella la soluzione a tutti i mali, la su solita soluzione prêt-à-porter, la nazionalizzazione. “Il governo – tuona – deve intervenire per bloccare la vendita a Telefonica con l’acquisto della sua quota”. E se non sai dove trovare i soldi, caro Saccomanni, sappi che “è sufficiente dirottare parte dei miliardi di euro destinati alla Tav in Val di Susa”, così anche i No Tav sono contenti.

Ora, Beppe, io non voglio fare il pignolo, però prima di dare le tue soluzioni da primi anni delle elementari, forse sarebbe il caso di considerare due o tre cosucce. Intanto che per comprare una quota c’è bisogno che chi la detiene abbia voglia di venderla. Poi che i miliardi per la Tav arrivano in buona parte dall’Europa e dal suo programma di reti di trasporto transnazionali, e difficilmente potrebbero essere “dirottati” (neanche fossero un aereo con un commando libico a bordo) per permettere a uno Stato di fare l’imprenditore.

Infine, tanto per dirla tutta, sei sicuro Beppe che la cosa migliore sia rimettere i 30 o 41 miliardi di debiti nelle mani dello Stato, che non potrebbe fare altro che ripianarli “con le tasse di generazioni di italiani”?


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