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Telecom, Alitalia e Finmeccanica, ecco gli errori di politici e capitalisti. Parla lo storico Berta

Le vicende Telecom e Alitalia sono gli ultimi tasselli di un processo di desertificazione industriale che mai come ora registra ritmi tanto rapidi. Il grido d’allarme dell’Unione Europea non poteva essere più impietoso. Per recepire la denuncia proveniente dalle istituzioni comunitarie, il governo si appresta ad allargare alla rete delle telecomunicazioni i poteri speciali dello Stato previsti dalla Golden share per tutelare l’interesse pubblico nazionale in settori strategici soggetti a privatizzazione. E vuole riconoscere alle aziende a elevata capitalizzazione con un azionariato polverizzato la facoltà di abbassare a una soglia inferiore al 30 per cento l’Offerta pubblica di acquisto sull’intero capitale societario. Misura finalizzata ad arginare il rischio di governance ottenuta con una partecipazione finanziaria limitata.

Si tratta di iniziative adeguate per superare le lacune storiche del capitalismo italiano e invertire la marcia verso lo smantellamento della nostra capacità produttiva? Formiche.net ha rivolto l’interrogativo a Giuseppe Berta, professore di Storia contemporanea all’Università Bocconi, storico dell’industria, delle élite economiche e delle rappresentanze degli interessi. Già responsabile dell’Archivio storico della Fiat, tra i suoi libri più significativi vanno ricordati “Le idee al potere. Adriano Olivetti tra la fabbrica e la Comunità”, “La Fiat dopo la Fiat. Storia di una crisi: 2004-2005”, “Nord. Dal triangolo industriale alla megalopoli padana: 1950-2000”.

Ritiene efficace la scelta del governo di estendere la Golden share alla rete delle telecomunicazioni

La reputo tardiva e poco proficua. Ne attribuisco la ragione profonda alla mancanza nelle politiche pubbliche di una visione di sviluppo industriale paragonabile ad altri paesi europei. Per troppo tempo nessuno ha detto su quali basi esso doveva poggiare, dalla siderugia all’automobile. E le vicende recenti ne sono un riflesso. Penso ad Alitalia, per il cui rilancio è fondamentale disporre di una vasta rete di collegamenti strategici e di un unico grande hub internazionale, senza incertezze tra Fiumicino e Malpensa. Ma penso anche alla decisione miope di cedere Ansaldo Energia da parte di Finmeccanica. Ci troviamo di fronte a una spaventosa afasia sui pilastri di una visione pubblica condivisa sulle strutture produttive nazionali.

Cosa è necessario fare per fermare la marcia verso la desertificazione industriale? 

Come negli anni Cinquanta e Sessanta, grandi aziende pubbliche e imprese private dovrebbero essere coinvolte in un disegno comune di politica economica per convogliare energie e risorse attorno a poche priorità. Non si tratta di dirigismo, se guardiamo alla strategia di sostegno all’industria automobilistica portata avanti da Barack Obama. È questa la strada per esprimere un indirizzo economico in grado di agganciare la ripresa internazionale, e consentire al nostro sentire comune di identificare i motori dello sviluppo. A partire dalla “manifattura intelligente”, in cui vantiamo eccellenze di spicco. È altrettanto necessario evitare gli errori compiuti con lo stabilimento Fiat Pomigliano d’Arco, quando nessuno si è chiesto se fosse valido quel nucleo produttivo e come funzionasse la fabbrica.

Il ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi osserva che la rete Telecom deve essere controllata dal pubblico. Pensa a un ruolo attivo di Cassa depositi e prestiti nell’acquisizione e gestione di un network strategico? 

Assegnare a CDP il ruolo esercitato un tempo dall’IRI mi sembra fuori luogo. Invocarne il ruolo di garante di ultima istanza in modo surrettizio senza assegnarle un mandato preciso equivale a un escamotage verbale privo di sbocco. Utile solo per tamponare le emergenze. La scoperta stessa del valore strategico della rete anche sul piano della sicurezza nazionale arriva tardi, come osserva giustamente Franco Bernabè. Tutti segni di una politica frammentata e sincopata, che rende impraticabile scelte come quelle compiute all’indomani dell’Unità e all’epoca dell’Assemblea Costituente. Quando i gruppi industriali vennero riuniti dalle istituzioni per capire quali fossero le loro intenzioni per il futuro.

Il progetto di riforma delle regole per far scattare l’OPA nelle aziende ad alta capitalizzazione con un azionariato frammentato è sufficiente per evitare il ricrearsi di scatole cinesi, tipiche del capitalismo italiano? 

Cambiare le regole in corso di acquisizioni di società da parte di gruppi stranieri mi sembra scorretto. Anche nella versione flessibile e facoltativa prefigurata dalla Consob. Perché piegando le norme all’emergenza, non comunichiamo al resto del mondo la stabilità giuridica vitale per effettuare investimenti.

Condivide le tesi di chi parla della svendita di una nostra azienda leader per 1 miliardo 845 milioni di euro a un gruppo  spagnolo fortemente indebitato forte dell’appoggio “politico” delle banche? 

No. Nella vicenda Telecom il deterioramento era in atto da tempo e il suo capitale si era già svalutato. Bisognava semmai pilotare l’operazione per individuare con accuratezza un interlocutore straniero in grado di fornire garanzie. Anche Finmeccanica dovrebbe chiedersi quale è il partner migliore per valorizzare la tecnologia militare nel lungo periodo. Prima di liquidare e vendere aziende di eccellenza altamente strategiche. Come vede, nell’intero capitolo delle privatizzazioni, sequela di scelte sbagliate e mal condotte, la responsabilità concerne la politica e i capitalisti privi di lungimiranza.

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