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Telecom spagnola, la corrida di Vodafone, Wind e Fastweb sulla rete fissa

La scelta dei vertici Telecom di separare la rete di accesso alla telefonia fissa dalle attività commerciali costituisce una ghiotta opportunità per i concorrenti dell’ex monopolista pubblico. Almeno sulla carta. Perché se i gruppi privati delle telecomunicazioni hanno mantenuto costanti gli investimenti tra il 2006 e il 2012 e quasi tutti sono favorevoli a contribuire finanziariamente alla costruzione di un network di trasmissione il più partecipato e neutrale possibile, permangono forti dubbi sulle intenzioni dell’azienda guidata da Franco Bernabè.

Molti si chiedono quali saranno i tempi e l’ampiezza del divorzio societario, se Telecom – specie dopo il controllo definitivo da parte della spagnola Telefonica – vorrà continuare a detenere il controllo azionario e un ruolo prevalente nella governance della Newco e se vorrà riscuotere dai competitor il canone mensile dovuto al possesso della rete. Soprattutto è diffusa la consapevolezza che da sole le risorse private non sono sufficienti a coprire l’enorme investimento necessario per modernizzare gli impianti di trasmissione. E che dunque si pone con urgenza il ruolo di una grande istituzione pubblica in grado di promuovere, incoraggiare e calamitare l’interesse delle forze di mercato. Ruolo che vede protagonista Cassa depositi e prestiti.

I più tiepidi sulla validità dello scorporo dal convegno di I-Com

Tra i manager meno entusiasti sull’iniziativa assunta da Telecom vi è l’amministratore delegato di Italtel Stefano Pileri. Per il quale, alla luce di uno sviluppo potenziale delle reti di telefonia mobile pari al 60 per cento annuo a livello mondiale, la distinzione tra comunicazione fissa e portatile non ha più fondamento. Oggi smartphone e tablet ricercano e trovano la connessione lì dove esiste, attingendo anche al network fisso in fibra ottica. Per questa ragione “suscita interesse una struttura neutrale di accesso molto vasta, estesa a 2.000 centrali, che può presiedere allo sviluppo delle tv via cavo e di altre tecnologie avanzate”. Tuttavia, visto che per ora gli operatori del settore non ritengono vi siano le risorse necessarie per partecipare al suo ammodernamento, si punta su “autostrade telematiche parallele fornite da Internet in grado di trasmettere e trasportare gli stessi contenuti di qualità agli utenti a costi più bassi, di circa 1 euro ogni giga-bite”.

A evidenziare come il freno a un investimento immediato e massiccio per lo sviluppo della nuova rete sia la prospettiva di una remunerazione in tempi ragionevoli è Cesare Avenia, presidente di Ericsson Telecomunicazioni. Mentre Gianluca Baini, numero uno di Alcatel Italia, lo attribuisce alla mancanza di un’unica struttura multifunzionale adeguata per tutti i collegamenti: “Pertanto possiamo compiere investimenti mirati a trasferire contenuti e messaggi dalle micro-celle mobili a quelle fisse”. Gianluca Cimini, amministratore delegato di Bt Italia, imputa invece al ceto politico l’assenza di interesse verso la banda larga fissa, “la forma più avanzata delle reti di Tlc che nel Regno Unito è stata posta come priorità nazionale”.

Il punto di vista di Vodafone e Wind

Fiducioso nelle potenzialità concorrenziali derivanti dallo scorporo della rete di accesso è Pietro Guindani, presidente di Vodafone Italia. Il quale ascrive alla persistenza di un monopolio infrastrutturale finito nel mirino dell’Antitrust la carenza di competitività nel comparto della telefonia fissa. E apre alla possibilità di intervenire nella modernizzazione del network di trasmissione solo a condizione di “una proprietà ampia e plurale della rete in grado di offrire garanzie di neutralità, a partire dalle scelte della stessa Telecom in coordinamento con le authority di controllo”. L’amministratore delegato di Wind Maximo Ibarra si spinge oltre, prefigurando “forme di collaborazione tra gli operatori della telefonia fissa e il conferimento di loro asset finanziari alla società unica di gestione della rete. Agevolati non da sussidi né da aiuti di Stato, ma da strumenti istituzionali volti ad agevolare l’adattamento alle preferenze dei consumatori”.

Fastweb unica voce fuori dal coro

Radicalmente contrario all’ipotesi di rete unica è Alberto Calcagno, Ad di Fastweb, intenzionata a proseguire l’offerta del servizio sulla propria struttura in fibra ottica. Che verrà potenziata “riutilizzando il 30 per cento del fatturato con l’obiettivo di raggiungere il 20 per cento della popolazione e coprire 12 grandi città, per 9,5 milioni di clienti complessivi”.

Le strategie dell’ex monopolista

Critiche, dubbi, scetticismo si mescolano dunque a sincere manifestazioni di interesse per una scelta che vede protagonista Telecom Italia. A difenderne le ragioni è l’amministratore delegato Marco Patuano, che rivendica “la straordinaria qualità delle reti italiane, fissa e mobile, a fronte di costi ridotti continuamente negli ultimi vent’anni”. È su questa premessa che a suo giudizio bisogna promuovere l’incremento della banda larga su fibra ottica – da noi storicamente carente perché legata allo sviluppo della tv via cavo – nel mercato del consumo di video. Ma per conseguire simili obiettivi “si deve creare un terreno favorevole agli investimenti privati e un’ottica di ritorno economico certo, anche in un arco temporale di sette anni”. È questo che l’ex monopolista pubblico chiede ai regolatori del settore prima di operare lo scorporo della rete telefonica di accesso. Perché questa volta pretende “condizioni di equità, e non di inferiorità, rispetto ai competitori”.

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