Skip to main content

Chi sono i guardiani di Twitter

C’è sempre una buona ragione per scrivere un tweet, che sommata a tutte le altre sparse in tutto il mondo fanno circa 500 milioni di buone ragioni. Provate adesso a pensare a quel flusso interminabile di cinguettii che occupa la scena social il lampo di pochi secondi prima di venire inabissato dall’incessante ordine cronologico. Un cimitero di tweet su cui però Twitter non versa molte lacrime. Anzi.

Quando Twitter ha assunto la consapevolezza della ricchezza che aveva tra le mani, piuttosto che occuparsene in prima persona, ha preferito delegare la rivendita di massa del firehose, il flusso completo dei dati, a quattro rivenditori autorizzati: GnipDatasiftTopsyNTT Data, che poi rivendono il flusso filtrato a seconda delle necessità a clienti interessati ad analizzare tweet e conversazioni relativi a un determinato tema.

I guardiani del flusso

Nel numero di Wired di settembre Carola Frediani fornisce i particolari su chi e come governa questa miniera d’oro su Twitter. Fino a qualche tempo fa se una società che analizza social network voleva attingere al flusso di tweet aveva la possibilità di accedere il firehose. Oggi invece ha due possibilità: usare le Api di Twitter (Application Programming Interface) cioè le istruzioni che permettono di far interagire un’applicazione con un’altra piattaforma, che sono libere, funzionano in modo simile, ma hanno molti limiti, oppure bussare alla porta dei rivenditori autorizzati da Twitter e ricevere i dati completi.

Queste società privilegiate ricevono ogni secondo migliaia di unità d’informazione provenienti dagli aggiornamenti pubblici dei social network ed entro pochi secondi li lavorano con vari algoritmi per arricchirli aggiungendo dettagli al dato di partenza. Tim Barker, Chief Product Officer di Datasift ad esempio spiega a Wired di misurare anche il sentiment di un messaggio per determinare se è positivo, negativo o neutrale riguardo al tema trattato.

I rivenditori certificati di tweet si sono poi allargati includendo anche altre fonti di dati come Facebook, Instagram, Google Plus, Bitly, oltre a blog, forum e siti di notizie.

Costi e guadagni

Per i rivenditori ufficiali vendere i dati dei social network si è rivelato una bella fortuna: 500 clienti, tra cui Coca-Cola, McDonald’s e Bbc, per 15 milioni di dollari di investimenti. Diversa la situazione per le società di analisi. Ecco un esempio riportato da Wired: Datasift, società nata dalle ceneri di Tweetmeme che inventò il retweet, fornisce accesso all’intero firehose di Twitter dal primo gennaio 2010 ad oggi  arricchendo i tweet con lingua, caratteristiche demografiche, sentiment e altro per una cifra che può arrivare a 15mila dollari al mese. Tanto che tra le società di analisi qualcuno ha optato per sistemi diversi: “Noi abbiamo usato questi servizi, ma poi abbiamo deciso, nel caso di Twitter, di limitarci alle Api e lasciar stare il firehose”, racconta Vincenzo Cosenza, social media strategist di Blogmeter, l’azienda che si occupa del  monitoraggio dei social. “Le interroghiamo quotidianamente sui temi che ci interessano e costruiamo un nostro archivio”, aggiunge.

Chi alimenta la sorgente

Nonostante le aziende che godono dell’accesso privilegiato ai dati sottolineano che quelle che manaeggiano e rivendono sono informazioni pubbliche e che i clienti puntano alle informazioni aggregate e non ai singoli, la giornalista di Wired rivolge un ultimo pensiero al povero utente, “quello che alimenta tanta sorgente, il quale per fare ricerche storiche sui tweet deve fare invece i salti mortali”.


×

Iscriviti alla newsletter