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Alitalia e gli strani liberisti stile Ryanair

Aiuti di Stato? Noi italiani amiamo dividerci sempre e il cleavage mercatisti/statalisti sta diventando una vera e propria moda.

L’interesse nazionale

L’amor di polemica non deve tuttavia far perdere di vista non solo quello che cerchiamo di definire come “interesse nazionale” ma anche solo una visione a largo spettro di quelli che sono i problemi che non riguardano solo Alitalia ma l’intero settore del trasporto aereo in Italia.

Regolare e non azionare

Possiamo discutere sulla bontà di un ingresso di Poste nel capitale della compagnia oppure sul valore catartico della cessione ad Air France ma il nodo resterà attaccato al pettine. La verità è che il deficit più grande cui il governo italiano dovrebbe far fronte riguarda la regolazione dell’aviazione civile e non l’azionariato di una azienda che pure ha impatti occupazionali e logistici tutt’altro che trascurabili.

Il futuro degli scali

In questi giorni si è molto citato ad esempio l’importanza di Alitalia nelle scelte di sviluppo di due realtà significative come Adr e Sea, le società aeroportuali di Roma e Milano. E’ evidente che chiunque, uomini politici o di governo, voglia parlare dell’Italia come hub strategico verso il Mediterraneo non possa immaginare di non avere un grande aeroporto come Fiumicino. Allo stesso modo, e dato per buono l’assunto per cui i francesi declasserebbero di fatto gli scali italiani, questo ragionamento non può essere sufficiente a risolvere i problemi che sono emersi con l’affaire Alitalia.

Due testimonianze
Per capire gli errori e i ritardi delle istituzioni nel trasporto aereo, possiamo prendere a testimonianza due figure diverse che hanno però espresso, in linee generali, la stessa analisi. Parliamo di Mauro Rossi, segretario nazionale della Filt-Cgil, e Roberto Scaramella, amministratore delegato della compagnia italiana (il cui capitale è interamente detenuto dall’Aga Khan) Meridiana. Quest’ultimo segnala che il settore presenta in Italia “storture competitive eccessive”. A cosa si riferisce? Il manager e il sindacalista danno la stessa risposta, e le stesse cifre.

Il caso low cost

Le compagnie straniere low cost – che già godono di condizioni fiscali e contributive migliori essendo basate in Paesi come l’Irlanda assai più business-friendly – ricevono sovvenzioni per un importo stimato non essere inferiore ai 300 milioni di euro all’anno. Una cifra versata dagli aeroporti minori, posseduti da enti locali. E’ lo Stato attraverso le sue articolazioni periferiche a fornire aiuti di Stato ben più consistenti e “longevi” di quelli riservati più recentemente ad Alitalia.

La strategia che non c’è 

Pur essendo, come sottolinea Rossi, “il trasporto aereo un asset strategico”, “in Italia manca una strategia nazionale”. In questo modo, è evidente che avremo il primato per numero di aeroporti per abitante e di maggiore penetrazione sul mercato nazionale di compagnie low cost. Se si vuole ridurre il numero degli scali, i politici scendono in piazza per difendere il campanile. Poi, ci si indigna dei  75 milioni di euro che versa Poste in Alitalia ma non si batte ciglio sul fiume di denari pubblici riversati a Ryanair.
Qui, non si tratta di trovare capri espiatori o di indicare buoni o cattivi. Si tratta di decidere quale Paese vogliamo essere e come vogliamo essere collegati nel mondo. Il tema riguarda la politica, il governo (Enrico Letta e Maurizio Lupi in primis) ma anche le autorità, quella Antitrust e quella (neonata) dei Trasporti.

Un paio di domande

Prima ancora di consegnare la storica compagnia nazionale ai francesi, perché non studiamo il modello francese o tedesco? Perché non vediamo come è organizzato lì il “libero” mercato? Dovremmo anche ripassare, già che ci siamo, un po’ di storia e ricordare quando l’Eliseo ricapitalizzò Air France. Allora, nessuno si scandalizzò e la Ue non si accorse di quelli che poi avrebbe chiamato, per gli altri,  “aiuti di Stato”.

Flavia Giacobbe

direttore della rivista Air Press

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