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Amnistia e indulto, un rivoltella carica alla tempia del Governo Letta

Approfittando della pausa (presumibilmente breve) che i mercati ci stanno concedendo grazie alla scampata crisi di governo, val la pena di fare un paio di riflessioni su una delle principali questioni oggi sul tappeto: l’ipotesi del varo di una amnistia o di un indulto al fine di risolvere il problema del sovraffollamento e del degrado all’interno del nostro sistema carcerario.

Riflessioni che forse possono essere di una qualche utilità visto che la soluzione prospettata desta inevitabilmente, nell’ignaro osservatore, più di una perplessità.

La prima riflessione è che l’utilizzo della clemenza giudiziaria per risolvere il problema del sovraffollamento e della qualità della vita nei nostri penitenziari è di fatto assai poco utile in quanto (come dimostra l’esperienza) i benefici conseguenti sono di brevissimo periodo. Infatti, il detenuto che usufruisce dei citati provvedimenti non viene scarcerato anzitempo in quanto ha maturato un percorso di ravvedimento, o perché ha evidenziato una chiara volontà di volersi reinserire nel contesto sociale (buona condotta, lavoro o studio in carcere etc), ma semplicemente perché è stato baciato dalla sorte o, peggio, in quanto ha beneficiato di giochi politici enormemente più grandi di lui. Comunque sia, “ringrazia il dottore” (o il cavaliere), esce dal carcere e ricomincia tranquillamente a delinquere ripromettendosi di stare più attento così da non farsi beccare di nuovo. La conseguenza di questo insano meccanismo, tra l’altro reso più spietato da una perdurante crisi che impedisce il reinserimento anche di quei pochi che ne avrebbero voglia, è che, ovviamente, le celle si riempiono nuovamente in tempo record vanificando così l’ottimistico tentativo di risolvere in maniera semplice e poco costosa la questione carceraria.

La seconda riflessione è che il provvedimento di clemenza in esame potrebbe avere una certa logica solo se concepito come intervento ponte in attesa di interventi strutturali di più ampia portata quali, da una parte, l’adeguamento delle strutture carcerarie e, dall’altra, la depenalizzazione di reati minori o la previsione di pene alternative alla detenzione. Il problema è che, il mix esplosivo composto dall’attuale limitazione alla spesa pubblica abbinata ad un governo in equilibrio precario, rende di fatto utopistico ritenere che all’escamotage di breve periodo costituito dall’amnistia possa subentrare un qualsiasi provvedimento con velleità strutturali. Anzi, direi che il rischio concreto è che l’amnistia, mettendo a posto la coscienza di tutti, contribuisca fattivamente alla sepoltura di qualsiasi progetto di ampio respiro effettivamente in grado di contribuire alla riduzione del degrado carcerario.

La terza è che la sola ipotesi di una amnistia ha, di fatto, ricaricato inaspettatamente quella rivoltella puntata alla tempia del Governo che, altrettanto inaspettatamente, il presidente Letta era appena riuscito a scaricare attraverso l’abile manovra connessa alla fiducia in Aula; è del tutto evidente che, nell’attuale situazione, una certa parte politica tenterà l’impossibile pur di adattare, in modalità “tailor made”, l’accorato appello del Capo dello Stato alle esigenze del Cavaliere. Il tutto con il concreto rischio di essere nuovamente risucchiati in quella spirale perversa (da cui eravamo appena usciti) fatta di minacce al governo – pericolo di crisi al buio – allarme dei mercati – rischio di downgrade – rischio di avvitamento della situazione finanziaria, e così via.

Molto meno dannoso a questo punto, come dice Mario Monti, un provvedimento di Grazia: almeno (dico io) ci risparmieremmo la sceneggiata dell’andirivieni in uscita ed in entrata dei delinquenti dalle carceri con il rischio, oltretutto, che qualcuno tra quelli più astuti e pericolosi rimanga davvero fuori.

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