All’inizio della crisi, scoppiata negli USA, l’UE si dimostrò indifferente. Con l’arrivo della crisi in casa, ci sono state le prime risposte, insufficienti, alcune sbagliate ed in ritardo, anche quelle che servivano ad evitare il peggio. Una prassi a cui l’Europa ci ha abituato ormai da troppo tempo, ma che in questo caso si è rivelata dannosa e pericolosa.
Come se la classe politica sembra non avesse capito, o non avesse voluto capire, che questa volta, eravamo di fronte a qualcosa di diverso, molto seria e dagli effetti imprevedibili. Infatti si trattava e si tratta di una crisi economica epocale; ma dubito, viste le premesse, che, sebbene cosi grave, la crisi riuscirà ad imprimere una svolta alla UE, come sosteneva Monnet.
La tempesta che stiamo attraversando, trasformatasi in recessione, non appartiene ai cicli economici a cui siamo abituati, visto, com’era ovvio, che si è trasformata in catastrofe per molti paesi dell’Eurozona.
Ha già seminato morti e distruzioni (lavoratori, giovani ed imprese)), alle quali non sarà facile porre rimedio in breve tempo. Ha rispolverato pregiudizi, ha innalzato steccati, ha provocato dolori e sofferenze che sarà difficile lenire.
Cinque anni e più di recessione, un fenomeno mai avvenuto prima, dovrebbero bastare per far aprire gli occhi a tutti; ma l’UE continua ad essere sorda ai richiami di solidarietà ed alla richiesta di “aiuto”. La sua opinione pubblica è disorientata e non capisce tali comportamenti; è male informata dai governi dei rispettivi paesi, per cui sembra più orientata a ricercare “colpe”, a rinfacciarsi le responsabilità, a distribuire voti a questo o quel paese, piuttosto che a capire le ragioni degli altri, le cause e le responsabilità che ci hanno portato in questo vicolo cieco dentro la zona euro.
Perché la crisi si è fermata nell’Eurozona?
Basterebbe solo provare a rispondere a questa domanda: perché la crisi si è arrestata nell’Eurozona e non altrove ed è qui che sta producendo i suoi effetti peggiori?
Dove va l’euro? O meglio, dove sta andando l’Europa in balia di una crisi che non è in grado di risolvere?
Il CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo) queste domande se l’è poste da tempo, provando a trovare le risposte giuste , prima delle altre istituzioni, forse perché più sensibile a quanto sta avvenendo; i suoi componenti sono collegati a filo diretto con quanti stanno soffrendo la crisi. Hanno aperto, da tempo, un cantiere di discussione che lo ha portato ad analizzare la situazione, ed a formulare proposte concrete che, se attuate, potrebbero essere risolutive per la crisi e darebbero maggiore sicurezza alla zona euro.
Vediamo perché la crisi si e fermata nell’Eurozona.
La risposta è talmente ovvia e semplice che ha dell’incredibile.
Una risposta che attendiamo da vent’anni (1991 – Trattato di Maastricht), ma ormai sembra che tutti l’abbiano dimenticato, come se la questione fosse stata rimossa.
Cosa è successo a Maastricht? E’ stata creata una moneta “unica” che molti paesi hanno adottato, ma NON si è trattato di una “moneta comune”, visto che tutto il resto, tutte le altre politiche, economiche e non, salvo la PAC e pochissime altre, sono rimaste appannaggio dei 17 Stati. Come poteva e come puo’ funzionare un sistema simile? Una combinazione che rappresenta un controsenso economico, oltre che politico, visto che non è stato creato nessun meccanismo di compensazione per ridurre le differenze e le asimmetrie tra paesi membri dell’UEM, né si è fatto nulla per dare un “sovrano” all’euro..
Colpa dell’Euro o del debito?
Molti hanno identificato nell’Euro la causa di tutti i mali, quando in realtà è solo una vittima; si è derubricata la crisi ad una questione contabile, ragionieristica, quando invece si tratta di un problema del tutto politico. Dopo l’euro, l’unico ad essere innocente, si è data “la colpa” della crisi al debito o alle mancate riforme in alcuni paesi. Nulla di più falso. Pensate agli USA o al Giappone: forse hanno meno debito di noi europei? E’ vero il contrario, ma la crisi si è fermata da noi, nei paesi dell’Eurozona. Ha colpito persino la Spagna che ha un debito più basso di quello tedesco. Perché?
La risposta è semplice: l’euro è solo, non ha un “sovrano”, non ha una casa; si regge solo su mezzo pilastro (la BCE). E’ in balia dei mercati, cioè della speculazione, che, non a caso si è trasferita nell’Eurozona senza che ci sia nessuno sia in grado di proteggerla. Non ci sono le attrezzature giuste. La stessa BCE ha un mandato limitatissimo rispetto alle altre banche centrali. Non abbiamo unificato (ancora) nemmeno il sistema bancario. A livello politico non ci sono gli strumenti decisionali per intervenire, come avviene in tutti gli altri paesi del mondo, compresi quelli europei fuori dall’Euro. Una situazione che non puo’ durare ancora molto.
Alla fine si salva, o resiste di più, solo il paese più forte, che finisce anche con l’imporre la sua linea a tutti gli altri, come sta regolarmente avvenendo sin dall’inizio della crisi. Colpisce come tutto cio’ venga tollerato o accettato passivamente da tutti, non solo dai governi, ma dai cittadini e dai giovani.
Le riforme strutturali dell’Eurozona
Percio’ è l’architettura istituzionale dell’Eurozona ad aver bisogno di riforme “strutturali” profonde, prima o contemporaneamente a quelle dei singoli paesi: completare l’ UEM, realizzando i pilastri mancanti al suo edificio, in attesa da 20 anni.
Occorre porre fine alle mistificazioni, ai rinvii, alla retorica europeista; è arrivato il momento di agire concretamente. Solo che per farlo ci sarebbe bisogno di una volontà e di una lungimiranza politica che non c’è. Sono doti che sembrano mancare ai politici europei attuali, troppo attenti al loro interesse quotidiano ed alla loro sopravvivenza, anche di fronte ai milioni di disoccupati ed alle migliaia di imprese chiuse, spesso a causa dei ritardi, dell’inazione e delle politiche inadatte, della UE, per un periodo di recessione.
Secondo il CESE, invece, occorre dotare la zona euro, nel giro di due anni, di un:
a) Pilastro economico, cioè di un “governo” economico-finanziario comune, sia per le politiche macro che micro-economiche, a partire dalle politiche industriali, cominciando dai paesi che hanno subito maggiori danni all’economia, penalizzati dagli squilibri esistenti prima dell’ Euro; prevedere un meccanismo di solidarietà (finanziato dagli avanzi della bilancia dei pagamenti) che riduca le asimmetrie attuali; arrivare ad un bilancio unico dell’ eurozona, con politiche fiscali comuni, attraverso un processo decisionale più democratico.
b) Pilastro monetario – bancario: dare alla BCE i mezzi per agire ad armi pari con le banche centrali di altri paesi europei ed che extra- europei, dandole il mandato di pagatore di ultima istanza, e la possibilità di favorire la crescita e l’occupazione, come fa la FED; non solo, quindi, guardiana della stabilità dei prezzi. Completare, inoltre, rapidamente l’Unione bancaria e la sorveglianza europea.
c) Pilastro sociale: contemporaneamente occorre intervenire sulla politica sociale, scegliendo le politiche da mettere in comune, decidendo insieme; creare un meccanismo di solidarietà che porti alla realizzazione di un modello sociale comune, imperniato su alcuni istituti fondamentali; ad es. , la disoccupazione o la partecipazione, per fare da volano alla ripresa economica, per rilanciare la domanda interna e gli investimenti.
d) Pilastro politico : quello più importante; il vero anello debole dell’UEM e dell’ UE, perché l’Euro ha un disperato bisogno di un governo comune, un “sovrano” che lo riconosca e lo protegga. Cio’ richiede il trasferimento a livello europeo del potere decisionale sulle materie suindicate, condividendo le sovranità tra i paesi interessati, modificando il processo decisionale attuale, rendendolo più democratico, più efficace e trasparente, basato su una maggiore solidarietà tra i paesi.
Per facilitare un tale processo serve un approccio pragmatico, non ideologico, capace di riavvicinare i cittadini all’UE, ridando loro un senso di appartenenza comune, dimostrando che l’Europa non è la causa dei problemi, ma la soluzione. Un obiettivo raggiungibile anche attraverso una cooperazione rafforzata, ad esempio tra i paesi che hanno adottato o adottano l’Euro. Infatti l’Europa realizza i migliori obiettivi per tutti, solo se collabora senza riserve, se rilancia un progetto fondativo comune e supera gli egoismi nazionali.
Crescita ed occupazione: interventi urgenti
Nel frattempo ci sono delle risposte urgenti da dare ad imprese e lavoratori:
– sospensione e/o diluzione delle politiche di austerità (il Patto di bilancio) causa principale del la recessione, che man mano si sta estendendo a tutti, dilatando i tempi della ripresa. Meglio sarebbe passare dall’austerità alle riforme condivise, che liberino i paesi dal cappio del debito e della rigidità per recuperare i differenziali di produttività.
– sottoscrizione di un vero e proprio patto per la crescita, l’occupazione e la stabilità (un new deal europeo con un piano Marshall) (la crescita per la stabilità); un piano finanziato dalle eurobbligazioni, attraverso la BCE e il FEI.
Un piano che si potrebbe anticipare attraverso investimenti pubblici da tenere fuori dal Patto di stabilità, mediante un sistema di regole comuni (golden rules) che tengano conto dei livelli di indebitamento e del tasso di disoccupazione dei paesi, compreso quello giovanile.
Non più parole per la crescita e l’occupazione, ma fatti, atti concreti che vadano al di là della somministrazione di aspirina per un malato che ha delle vere e proprie metastasi.
Il processo avviato nel ’57, ripreso nel ’91, nel 2002 e nel 2007 per costruire un’Europa integrata andava e va nella direzione gusta. Bisogna evitare che ora frani sull’onda dell’egoismo.
Operazione verità
Occorre perciò fare un’operazione verità sull’EURO, sull’UEM e sui suoi limiti, che stanno mettendo a rischio tutto il cantiere europeo. Si tratta di limiti politici, economici, finanziari, monetari e sociali. Bisogna riconoscere che è’ stata una folle utopia quella di creare ed accettare 1a moneta unica per paesi con gravi squilibri economici e modellata sull’economia di quello più forte, la Germania, mentre tutto il resto è rimasto immutato. Era subentrata la convinzione che l’Euro, una volta entrato in funzione, avrebbe trascinato con sé tutto il resto, compresa l’Unione politica; ma cosi non è stato.
Una situazione che ha lasciato invariati gli squilibri, e che, finora, ha permesso , anche durante la crisi, ad alcuni paesi (primo fra tutti la Germania) di usufruire dei vantaggi maggiori, spesso a scapito di altri. E’ vero che alcuni paesi hanno trascurato di riformare il loro sistema economico, ma ciò non giustifica il mantenimento dello “status quo” della UEM, con i relativi vantaggi per la Germania.
L’impressione ricevuta in una serie di incontri, salvo quello che con la BCE a Francoforte, che il completamento della UEM, finora, sia stato rimosso dall’agenda della politica europea. E’ incomprensibile come scelta possa essere condivisa ed accettata (o subita?) in silenzio da tutti. E’ come tenere ancora nascosta la verità, senza informare le rispettive popolazioni, lasciando cosi’ prosperare i luoghi comuni e i pregiudizi. Ad esempio, come si puo’ continuare a far credere, senza che nessuno smentisca, che il popolo tedesco è l’unico a pagare il conto della crisi per tutti? Oltre ad essere un falso, ha dell’incredibile.
Attenzione ai rischi per l’Europa
Non possiamo scherzare col fuoco.
La storia europea è ricca di esempi simili, di comportamenti scellerati, di pregiudizi. Pensavamo fossero scomparsi; oggi non ci possiamo permettere che ritornino.
Bisogna intervenire in tempo, riflettere ed invertire la tendenza attuale. Bisogna parlar chiaro ai cittadini dei vari paesi, mettendo ognuno di fronte alle proprie responsabilità (ben ripartite tra tutti).
L”Eurozona, in particolare, non puo’ rimanere ancora in attesa ( altri 20 anni?), col pretesto di una ripresina o della calma dei mercati per lasciare tutto immutato. Deve, invece, accelerare il processo riformatore per giungere ad una maggiore integrazione.
È questo il messaggio del CESE, che prima ed unica Istituzione, QUESTA E’ LA NOVITA’, ha posto l’accento sulle responsabilità e sulla causa della crisi attuale nell’Eurozona. Ha detto la verità, facendo proposte concrete, per superare questa UEM cartacea, che darebbero una svolta alla situazione attuale.
Ci auguriamo di essere ascoltati.
Carmelo Cedrone
v. presidente Sezione Economica del CESE