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Ecco il partito dei “conservatori della Costituzione”

Un atto d’amore per una Costituzione intangibile e vitale. Meritevole di una “ragionevole manutenzione”, non del cambiamento del suo modello istituzionale. Così una vasta aggregazione di persone e forze ha risposto all’appello “La via maestra” promosso da Libertà e Giustizia, Fiom, Articolo 21, Libera, per salvaguardare l’impianto della Carta del 1948 contro la revisione promossa da governo e maggioranza. E contro “una politica che riversa sul testo fondamentale carenze e arretratezze derivanti da una legge elettorale oligarchica”.

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Un’iniziativa che ha riunito nello scenario romano di una Piazza del Popolo gremita e ammantata di bandiere rosse l’intera sinistra: SEL, Rifondazione comunista, Comunisti italiani, Partito socialista, organizzazioni pacifiste, associazioni promotrici dei referendum sui beni pubblici, Azione civile, Italia dei valori, esponenti del Partito democratico come Pippo Civati, Laura Puppato, Sergio Cofferati, Patrizia Toia, aderenti Cinque Stelle. Tuttavia, se nell’ostilità verso ogni prospettiva presidenziale il consenso del “popolo della Carta” è unanime, nessuna parola viene pronunciata sul meccanismo di voto migliore per superare il Porcellum. Analogamente, il coro di accuse che si leva contro “l’inumana normativa Bossi-Fini” appare in contraddizione con l’ostracismo che gran parte di quel mondo ha riservato alla proposta referendaria dei Radicali mirante a rimuovere il reato di clandestinità.

La Costituzione di Gustavo Zagrebelsky 

Una rivendicazione filosofico-giuridica della validità e attualità del testo costituzionale viene affermata da Gustavo Zagrebelsky, il quale sceglie di rivolgersi agli “odierni riformatori e ai costituzionalisti che hanno accompagnato e avvalorato senza spirito critico l’opera del governo nel Comitato dei saggi”. A chi osserva come la Costituzione non sia adatta per governare con efficacia, il giurista richiama Platone e Aristotele spiegando che gli uomini chiamati alle responsabilità pubbliche sono più importanti dell’architettura istituzionale: “Un assetto costituzionale mediocre può funzionare in mano a persone generose e disinteressate mentre uno eccellente si corrompe in presenza di governanti egoisti e meschini, o di fantomatici salvatori della patria”. Lo studioso privilegia le qualità morali di chi deve comandare rispetto alle regole concepite per limitare e controllare il potere – chiunque ne sia il detentore – affinché non violi le libertà fondamentali.

Negando le radici del costituzionalismo liberale, Zagrebelsky elogia la Costituzione italiana perché non è un complesso di leggi per organizzare le istituzioni bensì “l’idea di un modello di società in cui vivere, un manifesto programmatico e una tavola dei valori che prospetta una realtà solidale, combatte le differenze, riconosce attivamente il diritto al lavoro, all’educazione, alla salute”. Il giurista e la piazza rifiutano l’etichetta di “conservatori”, perché “l’applicazione della Carta fondamentale travolgerebbe una politica preda delle oligarchie. Visione che verrebbe codificata da una riforma presidenziale”. A tale deriva il giurista contrappone una “democrazia partecipata, plurale, articolata dal basso”. E per questo motivo avversa la “disapplicazione e deroga delle procedura di revisione previste dal progetto di legge governativo che riscriverebbe la metà della Carta stravolgendone ordinamento e natura”.

Repubblica e Fatto danno voce al “popolo della Carta” 

Parte dall’intransigente difesa dell’articolo 138 della Costituzione il vicedirettore di Repubblica Giovanni Valentini, che dedica la lettura dell’articolo 10 della Carta sull’accoglienza dei profughi e rifugiati a Umberto Bossi, Gianfranco Fini e Roberto Maroni, quella dell’articolo 54 sull’onore e disciplina per i rappresentanti dei cittadini a Silvio Berlusconi, quella dell’articolo 67 sull’assenza del vincolo di mandato per i parlamentari a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Promotori della campagna contro la “Riforma costituzionale della P2”, il direttore e vicedirettore del Fatto Quotidiano Antonio Padellaro e Marco Travaglio preannunciano battaglia contro “chi vuole modificare la Carta a uso e consumo delle larghe intese” e puntano il dito verso “la sindrome di Stoccolma che porta il Pd a fraternizzare con il Cavaliere pregiudicato”. Poi evocano l’esortazione di Piero Calamandrei a far vivere ogni giorno  lettera e spirito della Costituzione, dimenticando che il grande giurista e il Partito d’Azione con cui venne eletto in Assemblea Costituente furono fautori appassionati e solitari di un progetto istituzionale presidenziale, federalista, maggioritario e bipartitico di stampo nordamericano.

La Costituzione economico-sociale di Maurizio Landini 

Agli occhi del leader FIOM Maurizio Landini il valore e l’attualità del testo costituzionale, equiparato al Vangelo da Luigi Ciotti, si sono rivelati nella sentenza con cui la Consulta ha dato torto a FIAT riconoscendo rappresentatività sindacale anche alle sigle che non firmano gli accordi aziendali. Una “vittoria che deve essere la premessa di una strategia industriale spinta fino all’intervento diretto dello Stato nel mercato e alla possibilità di requisire aziende come l’ILVA di Taranto, prevista dagli articoli 41, 42, 43 della Carta. Fiero avversario delle “assurde privatizzazioni come Telecom”, e di un capitalismo finanziario “che ha concentrato la ricchezza e il potere decisionale nelle mani di pochi potentati estranei a chi crea la ricchezza”, l’esponente sindacale esprime un punto di vista sulla giustizia leggermente fuori dal coro di una piazza schierata contro amnistia e indulto. Rilancia la necessità di eliminare le leggi su immigrazione e tossicodipendenza “che riducono i penitenziari a discarica sociale degli emarginati”. E di investire le risorse pubbliche per educare i detenuti a un lavoro in vista del reinserimento sancito dall’articolo 27 della Carta piuttosto che per costruire nuove prigioni.

Stefano Rodotà lancia la sfida al governo delle larghe intese 

Autentico leader del “popolo della Costituzione e della sua intangibilità” resta Stefano Rodotà, anello di congiunzione di una coalizione variopinta formata dal mondo a sinistra del Pd e dalla galassia animata da Grillo. Una realtà di “forze vincenti non allineate al tono monocorde della politica ufficiale, altro che partitino di minoranze velleitarie”. Il giurista si scaglia contro “la manipolazione ideologica con cui Enrico Letta vuole imporre una curvatura autoritaria che esalta la personalizzazione riducendo controlli e partecipazione”. Elementi ben diversi dalla “buona manutenzione costituzionale” mirata e condivisa su bicameralismo, numero dei parlamentari, rapporti Stato-enti locali.

Per arginare la “scorciatoia governativa” Rodotà chiede ai “rappresentanti liberi presenti nelle Camere” di impedire il raggiungimento dei due terzi dei voti per approvare la deroga all’articolo 138 e permettere così il referendum confermativo. Non è un dettaglio tecnico ma una battaglia attorno a una politica “che non vive alla giornata, anzi alla mezz’ora come dimostrato dalla crisi di governo. Che non privilegia l’acquisto degli F-35 e la riduzione dell’IMU anche per chi può pagarla rispetto alla copertura della cassa integrazione e alla valorizzazione della scuola pubblica. Che non soggiace alla dittatura dell’economia e non tratta il salario come un prodotto di mercato a basso costo”.



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