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Ecco come si discute di difesa in Italia

Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali

Il dibattito pubblico italiano su temi della difesa è spesso superficiale, estemporaneo, e affetto da una forte connotazione ideologica, nonché da un’eccessiva predominanza delle considerazioni di bilancio rispetto al quadro generale.

Un recente studio Iai analizza i fattori strutturali che influenzano il dibattito italiano sulle questioni delle difesa e che sono all’origine delle differenze rispetto a quello che si svolge in altri paesi europei come Francia o Gran Bretagna.

Il primo fattore è la tradizionale scarsa considerazione pubblica per l’interesse nazionale e per la sua difesa tramite l’uso delle forze armate. Solo di recente e con molte cautele si è cominciato a discutere in modo più esplicito del nesso tra la politica di difesa – ad esempio la partecipazione a missioni internazionali – e l’interesse dell’Italia. Nesso che è invece al centro del dibattito in altri paesi occidentali.

L’Italia ha inoltre minori legami demografici, economici o culturali con altre regioni del mondo rispetto ad altri stati membri dell’Unione europea, anche per effetto della sua più limitata esperienza, sia in termini spaziali che temporali, come potenza coloniale.

In terzo luogo, dopo la fine della Guerra Fredda si è affermata nell’opinione pubblica italiana la percezione che la sicurezza del paese non sia più minacciata, come confermano i sondaggi degli ultimi anni quali l’Eurobarometro o i Transatlantic Trends.

Infine, non vanno affatto sottovalutate le peculiarità del sistema politico-istituzionale. Il Presidente del Consiglio ha poteri relativamente limitati rispetto ad altri capi di governo europei. In particolare, la responsabilità sulla politica di difesa è condivisa con il Parlamento, il Presidente della Repubblica e il Ministro della difesa, fermo restando il carattere collegiale del governo e il ruolo del Ministro degli esteri.

Una delle conseguenze di tale assetto è la diversità di posizioni sulle questioni di difesa che riflettono molto più le dinamiche partitiche interne che un’analisi degli argomenti in discussione.
L’opinione pubblica nazionale è dunque condannata ad occuparsi di questioni di difesa solo quando ci sono vittime tra i militari italiani in missione o bisogna decidere dove tagliare la spesa pubblica? E solo per brevissimi periodi, senza approfondire il contesto, lasciando che tutto si riduca allo scontro tra pacifismo isolazionista e suoi oppositori? No.

Attori in scena
I suddetti fattori strutturali influenzano il dibattito, ma non lo determinano. Tanto più a oltre vent’anni di distanza dalla fine della Guerra Fredda e soprattutto dopo un prolungato, significativo e positivo – almeno agli occhi di partner stranieri ed addetti ai lavori – impegno delle forze armate italiane, e in misura minore del sistema-Paese, nelle missioni internazionali. La responsabilità della qualità del dibattito è primariamente dei soggetti che vi partecipano, nel bene e nel male.

Cruciali sono indubbiamente la personalità, le capacità e l’interesse per la materia di chi ricopre i ruoli di maggiore responsabilità, a partire dal Presidente del Consiglio e dal Ministro della difesa. Ciò detto, si possono fare due considerazioni generali.

Da un lato la Presidenza della Repubblica, nell’ultimo quindicennio, ha investito un notevole capitale politico nella rivalutazione del ruolo delle Forze Armate nella politica estera e di difesa dell’Italia. Dall’altro, chi ha assunto ruoli di governo ha conservato quanto già esistente, nonché gli impegni di lungo periodo presi dai governi precedenti. Qualunque fossero le posizioni ideologiche di partenza.

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Alessandro Marrone è ricercatore dell’area sicurezza e difesa dello Iai.



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