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Tutti gli errori del Pd secondo Tocci, Gentiloni, Barca e Rodotà

Un gruppo dirigente oscillante tra la rimozione dell’esperienza comunista e la “nostalgia ingannatrice” che ne rimuove gli aspetti problematici. E quindi incapace di compiere un’analisi critica e diretta della propria storia, che permetta un’emancipazione e un rilancio del suo messaggio di riscatto degli ultimi. È condensato in questa diagnosi il libro “Sulle orme del gambero”, scritto dal parlamentare del Partito democratico Walter Tocci. Un volume, presentato al Campidoglio da nomi autorevoli del mondo progressista, che è un viaggio a ritroso nella nozione stessa di sinistra, per tentare di spiegarne fallimenti e sconfitte a partire dai 101 voti mancanti il 19 aprile 2013 per Romano Prodi nell’elezione del Capo dello Stato.

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“Una giornata dolorosa e memorabile – ricorda l’ex vice-sindaco della Capitale – che mi ha spinto a rimettere in gioco antiche convinzioni e la fiducia nei dirigenti del Pd”. Ma che trova le sue radici in un lungo arco di tempo fatto di scelte e occasioni fallite, di assenza di nettezza nelle direzioni da intraprendere. Fra tutte la “Svolta post-comunista”, che non ha trovato sbocchi costruttivi e vincenti, un’eterna transizione guidata dall’inossidabile vertice di Botteghe Oscure della metà degli anni Ottanta”. Ai capi della sinistra, “prigionieri di griglie concettuali per cui ciò che non collima con le loro idee equivale a populismo e anti-politica, il che in Italia corrisponde al 75 per cento dei consensi”, l’autore vorrebbe regalare il “Contributo alla critica di me stesso” scritto da Benedetto Croce. “Per coltivare dubbi e maturare una visione ottimista, propositiva, sorridente, riformatrice sul futuro. Tanto più nei confronti di un capitalismo che si presenta con il volto cupo e non più come una formidabile forza promotrice di modernizzazione e benessere”.

La sinistra New Labour invocata da Gentiloni

A mettere in luce l’originalità dell’analisi di Tocci, rappresentante della corrente “di sinistra” del Nazareno e supporter della candidatura di Gianni Cuperlo alla segreteria, è il suo collega di partito e convinto sostenitore di Matteo Renzi Paolo Gentiloni: “L’essere senza popolo” da parte di una forza che non rappresenta politicamente i “nuovi ceti popolari”, i veri emarginati, gli svantaggiati. Classi che identificano il Pd, “costituito dal patto tra leader mediatici e notabili locali, come una formazione di protetti e garantiti e dunque lo guardano in cagnesco”. E “l’essere priva di cultura di governo”, come rivela l’idea del “partito solido” con la testa rivolta all’indietro: “Una formazione che spesso ammanta di unità di facciata risse e intrighi interni, che deve costruirsi sull’accordo tra culture ed esperienze democratico-cristiane e post-comuniste, che ora mette in discussione l’avvento della globalizzazione portatrice di libertà, democrazia, sviluppo e pace, da correggere e sviluppare in senso democratico ripensando il modello di capitalismo”. Un punto cruciale trova in radicale dissenso i due esponenti del Pd: la “sbornia anglosassone e blairiana” denunciata dall’autore nei confronti della sinistra e della politica industriale degli anni Novanta. Gentiloni non ne scorge grandi tracce: “Perché il modello di riferimento progressista è stato franco-tedesco, mentre nel campo delle privatizzazioni è stato quello oligarchico russo fondato sul rifiuto del coraggio e individuale”.

L’endorsement di Rodotà per la corsa di Cuperlo

Una profonda consonanza di vedute con il libro scritto dall’ex assessore ai Trasporti della Giunta capitolina guidata da Francesco Rutelli emerge nell’analisi di Stefano Rodotà. A giudizio del quale l’origine della crisi politico-elettorale del PCI e dei suoi epigoni “risiede nella chiusura spaventosa del gruppo dirigente di Botteghe Oscure all’indomani della Svolta della Bolognina, nella presunzione di auto-sufficienza dopo la scelta di cambiare nome e simbolo del partito”. È quella che il giurista considera una delle tappe della “scomparsa della politica come ragioni-passione-valori propri della sinistra ridotta a manovre oligarchiche auto-referenziali”. Ragion per cui, spiega lo studioso, negli ultimi anni i valori storici dei progressisti sono stati vanificati.

Una deriva nella quale “la sinistra riformista ha espresso una sudditanza in più campi verso la destra: dall’accento sulla meritocrazia che punta solo sul vertice della piramide alle logiche di marketing nella strategia e comunicazione partitica, fino all’iper valorizzazione del manager e dei risultati di breve respiro nel governo delle aziende, così lontana da figure come Adriano Olivetti con cui iniziai la mia militanza politico-elettorale”. Al contrario, osserva Rodotà, essa dovrebbe recuperare il valore della parola “dignità” tanto evocata da Gianni Cuperlo nella campagna per la segreteria del Pd, e che coinvolge il tema del lavoro scolpito negli articoli 1, 4 e 36 della Costituzione. E richiama “le battaglie sui beni comuni e sull’intransigenza politica contro la corruzione e l’illegalità culminate nella campagna referendaria della primavera 2011”.

La contaminazione lib-lab richiamata da Barca

A mettere in luce “il merito scientifico” del libro di Tocci è Fabrizio Barca: “È una rigorosa e appassionata disamina di una lunga sequenza di errori storici, dal Compromesso storico con la Democrazia cristiana all’affermazione di un PCI radicato e insediato nelle istituzioni regionali come la Dc di Amintore Fanfani aveva fatto sul piano nazionale”. Fenomeni che, con la cronica fragilità del capitalismo italiano, le storture delle partecipazioni statali, il modello burocratico, impersonale e troppo generoso di Welfare socialdemocratico, erano stati letti acutamente da Bruno Trentin. Ma il PCI e i suoi eredi fino al PD, spiega l’economista, hanno riposto tali analisi nel cassetto.

Così il Partito democratico “ha dimenticato la matrice liberale-azionista fondata sul valore dello scambio e della concorrenza, su cui per un breve periodo si incontrarono Luigi Longo ed Ernesto Rossi che con gli Amici del Mondo chiedeva l’istituzione di una moderna Autorità garante per il mercato. E ha archiviato e deformato l’intuizione socialista-liberale di Bettino Craxi poi tradotta in realtà dal New Labour di Tony Blair. Agli occhi di Barca la mancata elezione di Prodi al Quirinale è il portato inevitabile di vent’anni di mancanze legate all’affermazione del leaderismo privo di robusti intermediari politici: “Ma la via d’uscita non risiede nell’aumento di potere per i governi e nelle formule presidenziali”.

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