Skip to main content

Europeismo? No grazie, io sono Pro-Europe

All’europeismo nato tra il 1914 e il 1948 – per l’eliminazione delle guerre in Europa e declinato in federalismo, funzionalismo e confederalismo – sintetizzato nel motto spirituale e politico “unirsi o perire”, è subentrato un lungo periodo dove l’europeismo ha assunto un’accezione economica e mercantile lentamente manifestatasi fino al 1989. Dopo più di trent’anni, il “sonno” dell’europeismo s’è interrotto con i negoziati franco-tedeschi che hanno portato alla firma del Trattato di Maastricht e ad una decisa svolta funzionalista in cui “unirsi o perire” era declinato in chiave economica, politica e sociale continentale. L’entusiasmo per l’europeismo ha toccato il suo apice e poteva anche godere della simpatia americana oltre che della neutralità russa e cinese. Purtroppo, il successo è durato poco. Infatti, nel 1995 l’accelerazione voluta dal presidente Clinton per l’entrata in vigore del trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e la liberalizzazione del mercato finanziario con la cancellazione del Glass-Steagall Act, hanno “costretto” la Commissione europea ad adottare nel 1997 il regolamento n° 1466 per l’attuazione della moneta unica, l’Euro, che è entrata in vigore anticipatamente tra il 1999 e il 2002. Intanto, proprio la Commissione europea dell’Euro, presieduta dal lussemburghese Jacques Santer, si è dovuta dimettere nel marzo 1999 in seguito ad uno scandalo che coinvolgeva il commissario francese, la socialista Edith Cresson. Lo scandalo era incentrato su delle irrisorie accuse di nepotismo che, secondo fonti dirette, furono esagerate ad arte da alcuni servizi di sicurezza alleati che si opponevano al progetto Cresson di creare un fondo unico europeo per la ricerca e lo sviluppo a favore delle imprese europee. Così la competitività europea fu azzoppata sia sul piano strutturale sia su quello finanziario, con le rigide applicazioni delle teorie anti trust e grazie alle politiche monetarie sfavorevoli all’Euro. Nel 2001, la Cina divenne membro dell’OMC sconvolgendo il mercato manifatturiero europeo e nello stesso anno il presidente George W. Bush approvava il Patriot Act in reazione agli attacchi terroristici sul suolo americano (gli effetti li viviamo ancor’oggi con il c.d. Datagate). Da questa breve storia, si capisce che l’europeismo è stato seppellito nel 2001.

Tuttavia, negli ultimi 15 anni la parola europeismo è sopravvissuta nel lessico politico e popolare.

Un tentativo è stato quello di ridare senso e significato alla parola europeismo, nel 2001, attraverso la Convenzione incaricata di elaborare un progetto di Costituzione europea che poi è stato bocciato dalla popolazione europea sia attraverso la bassa partecipazione alle elezioni europee del 2004 (45.7% degli aventi diritto) sia attraverso specifici referendum popolari. Nel 2005, il presidente del Parlamento europeo, Jacques Borrell, dichiarò: “I due no espressi nei referendum popolari dai cittadini francesi e olandesi sono il prodotto di un malessere diffuso […]. L’Europa non rassicura più. Il ‘sogno europeo’, fatto di pace e benessere, non mobilita più perché è già una realtà. Le nuove domande sociali riguardano la sicurezza e la prosperità. I cittadini non vedono l’Europa come una risposta valida ai loro problemi – insicurezza, disoccupazione, precarietà sul lavoro – ma come una sorta di cavallo di Troia della mondializzazione che fa loro paura”.

Oggi il significante della parola europeismo trasmette vaghi riferimenti al sentimento di sentirsi europei, ma più propriamente da ideale è diventato una professione. Chi dichiara la propria fede irriducibile nell’europeismo è spesso orfano di altri ideali, nazionali o politici, e cerca nell’apologia dell’europeismo una soluzione ai propri problemi materiali e spirituali. Altrimenti, in ambienti più cinici, l’europeismo è un concetto così ambiguo che vi possono convivere sia pulsioni indipendentiste e proto-nazionaliste sia politiche di austerità economica e sociale tendenti all’egemonia politica. I principali delusi dall’europeismo sono proprio i funzionari di quelle istituzioni che, volute indipendenti, dovevano rappresentare il motore operativo dell’ideale europeista. Insomma, l’europeismo oggi non si sa che cosa sia.

Per queste regioni, si deve affrontare realisticamente il rifiuto popolare dell’europeismo che dal 1997 è stato corrotto da pratiche contabili e meccanicistiche che hanno umiliato l’idea, distruggendola. Le prossime elezioni del parlamento europeo del maggio 2014 rischiano di essere una tomba non solo dell’europeismo chiacchierone ma anche di ciò che di utile ha portato il processo di integrazione europea.

Innanzi tutto è necessario cambiare subito lessico nella comunicazione. L’europeismo è diventato appannaggio di politici e politicanti che ne hanno abusato per fini nazionali e personali. Ormai, credere nell’Europa come immagine identitaria comune dei popoli europei significa fare una scelta etica di rottura con l’europeismo di regime. Per questo, propongo che ci si dichiari PRO EUROPE.



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter