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Twitter e Internet, come democratizzare il web. Giuristi a confronto (col guru Rodotà)

Facebook è la terza nazione al mondo dopo Cina e India con oltre 1 miliardi di abitanti. E rende complicato promuovere forme di democrazia rappresentativa e spazi politici tradizionali nella Rete. La rivoluzione telematica, nata sul terreno militare e medico-scientifico e poi affermatasi in quello civile, ci costringe ad andare a fondo nei principi del diritto, a riscoprirli per concepire regole giuridiche in un mondo a lungo caratterizzata da un regime di anarchia. A questi temi Giovanna De Minico, docente di Diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss “Guido Carli”, ha dedicato un libro dal titolo “Internet. Regola e anarchia”. Un volume animato dall’idea dell’eterno conflitto tra libertà individuale e tentativi del potere pubblico o privato di aggredirla, coartarla, sottrarla alle persone. E che nel corso della sua presentazione all’Aula Magna dell’Ateneo romano, ieri, ha alimentato la riflessione di autorevoli giuristi.

L’accesso alla Rete come diritto umano fondamentale

È Stefano Rodotà, professore emerito di Diritto civile e costituzionale all’Università “La Sapienza”, a illustrare i mille risvolti filosofico-giuridici messi in luce dall’avvento della “civiltà del Web”. A partire dal valore dell’eguaglianza nella Rete, presente fin dalle sue origini nella veste del digital divide: problema visto non solo come eguale opportunità dei punti di partenza ma anche nell’ottica dei risultati. Ma la rivoluzione telematica coinvolge la possibilità della regola giuridica riferita a Internet. Lo studioso parte da una critica radicale all’autosufficienza della self-regulation del Web, così come al “binomio e patto tra monopolio dei poteri privati – fornitori di contenuti e servizi, gestori dei provider e dei motori di ricerca – e azione censoria dello Stato. Il cui ruolo in una dimensione planetaria come quella della Rete deve riferirsi alla comunità internazionale”. Tale dinamica, spiega il giurista, non ha funzionato nell’inquietante vicenda di “Datagate”. Rispetto a cui la reazione dei governi vittime dello spionaggio – e dell’Unione Europea – è stata blanda, tranne che per la Germania di Angela Merkel e il Brasile di Dilma Rousseff, rifiutatasi di incontrare Barack Obama al Palazzo di Vetro fino a un pieno chiarimento dello scandalo.

Tuttavia la volontà diffusa di affermare regole e certezze giuridiche sulla Rete ha spesso provocato una reazione libertaria di indipendenza assoluta dall’intervento politico di ogni natura.  Non soltanto quindi verso le iniziative repressive dei regimi autoritari. Una cornice normativa capace di concretizzare la libertà telematica, spiega Rodotà, è essenziale: “Nel terreno della sicurezza, che attiene alle prerogative degli Stati nazionali, della tutela della privacy rispetto ai portatori di interessi specifici operanti nel Web, dell’effettiva garanzia della libertà e responsabilità nella navigazione on line”. È su questo fronte che è stata avanzata la proposta di utilizzare Facebook e i social network – emblema della democrazia diretta – per creare gruppi rappresentativi di istanze e conferire loro un riconoscimento legale. L’applicazione di regole giuridiche “deve essere orientata all’affermazione del diritto fondamentale d’accesso universale alla Rete, che deve rappresentare la priorità nelle politiche dei governi rispetto ai costi del Web ed essere inserito nell’articolo 21 della Costituzione. Non si tratta di un fatto puramente tecnologico o economico, ma di un valore equiparabile all’acqua, per cui viene messo in gioco un patrimonio di conoscenze e la nozione di eguaglianza formale e sostanziale”.

È possibile e realistico democratizzare il Web?

Fortemente scettico sull’adeguatezza della riflessione giuridica per un governo moderno e non coercitivo della Rete è Massimo Villone, titolare della cattedra di Diritto Costituzionale nell’Università “Federico II” di Napoli. La sua premessa è un’ammissione di impotenza: “Il Web oltrepassa continuamente i ragionamenti dei costituzionalisti, che pure sono costretti a misurarsi con un terreno che frana sotto i loro piedi. Basti pensare che tutti i più importanti messaggi politici oggi vengono resi pubblici su Twitter, bypassando le organizzazioni partitiche tradizionali”. Ma se i canali e la cornice della vita pubblica sono per lo più telematici, perdono valore e incidenza antichi interrogativi, che toccano le radici della democrazia  costituzionale: la riforma elettorale e le sue finalità, l’opzione tra bipolarismo bipartitismo e multipartitismo, la forma di governo e i poteri del Capo dello Stato. Per l’ex parlamentare del PCI e del PDS ciò che pesa realmente nel mondo politico e nei suoi valori – libertà, eguaglianza e interesse alla privacy, all’immagine-decoro-identità – è la governance di Internet. Il resto è “teatro e rappresentazione”.

E tale governance implica “il coinvolgimento di milioni di persone-utenti nell’elaborazione di nuove regole per rendere più democratico, condiviso e rappresentativo un grande social network come Facebook diretto da 7 individui”. Ma è possibile affermare forme di democrazia rappresentativa in un “paese con 1 miliardi di abitanti” che naviga e comunica a velocità incontrollabili? La direzione più efficace e realistica, conclude Villone, prevede robusti investimenti pubblici per garantire e allargare il diritto fondamentale di accesso alla Rete e colmare il divario digitale e telematico, come stanno facendo tutti i paesi occidentali tranne l’Italia.

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