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Il governo Letta tra due bipolarismi

Molto si discute di una possibile crisi di governo e meno delle sue conseguenze politico-istituzionali.

Appare pertanto opportuno tentare un’analisi che non solo sappia tener conto delle circostanze a noi più vicine (quale può ad esempio essere la decisione sulla decadenza di Berlusconi da senatore), ma che abbia anche la pretesa di collocare il rapporto tra i soggetti politici che sostengono il governo Letta e il Movimento 5 Stelle dall’altro.
Siamo infatti in presenza di due esiti possibili molto diversi: nella eventualità di una rapida crisi di governo, saremmo emergerebbe un bipolarismo tra politica e antipolitica; qualora invece si consentisse all’esecutivo di produrre le riforme costituzionali e di condurre in porto anche l’intero semestre italiano di presidenza europea, potremmo trovarci di fronte ad un nuovo bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra quale non è mai stato sperimentato in Italia.

Questo infatti ha bisogno di tempo e di risultati.

Non vi è alcun dubbio che è molto forte la tentazione di un nuovo ricorso alle urne. Ma in questo caso si tratterebbe più di un riflesso condizionato che non di una decisione assunta al termine di una adeguata riflessione sulla situazione politico-sociale italiana.
E’ infatti da molto tempo ormai che si è venuto delineando un sentimento di contrapposizione, anche viscerale, alla politica, intesa questa quale professione sempre più lontana dalla società civile.

Non si tratta soltanto della tradizionale contrapposizione tra Popolo e Palazzo, ma del fatto che nel corso di ormai molti anni il Palazzo è venuto in qualche modo “restringendosi” finendo con l’acquisire connotazioni prevalentemente negative. Il Popolo a sua volta è passato da una pur necessaria affermazione di sovranità popolare ad una qualche pretesa di costituire la sola dimensione politicamente necessaria per l’agire politico.
Basti considerare da questo punto di vista il notevole dibattito sui “populismi” che oggi caratterizzano gli studi politologici non solo in Italia.
In caso pertanto di immediato ricorso alle urne, si finirebbe di fatto con il dar vita anche in Italia ad una sorta di bipolarismo tra politica ed antipolitica.
Per “politica” si finirebbe pertanto con il considerare quasi esclusivamente il palazzo della politica e per “antipolitica” si sarebbe indotti a ritenere che tutto ciò che si muove nel popolo – a cominciare dal Web – può portare a conseguenze populiste, molto più che popolari. Questo bipolarismo potrebbe pertanto costituire una concreta conclusione anche istituzionale per l’eventualità di una decisione più emotiva che razionale.

Le larghe intese finirebbero pertanto con il diventare sinonimo di Palazzo.
Esse infatti finirebbero con l’essere considerate complessivamente una manifestazione del “palazzo” e chiunque si opponesse ad esse potrebbe finire con il coagulare a proprio vantaggio tutte le pulsioni anti-Palazzo esistenti in tutti i bacini elettorali, con una sorta di rendita di posizione.
Il completamento del governo Letta che lo stesso presidente del consiglio ha collocato in una dimensione temporale di 18 mesi, finirebbe infatti con l’essere caratterizzato da due fatti politico-istituzionali di grande rilievo: il risanamento economico italiano (pur sempre nel contesto europeo) e la realizzazione di significative riforme costituzionali solo al termine delle quali si potrebbe dar vita ad un sistema elettorale coerente con un nuovo bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra.

Non si tratta dunque di una semplice questione di governo. Anche in passato si sono realizzate crisi di governo numerose ma pur sempre all’interno di un qualche primato politico del Palazzo rispetto al popolo: il consenso elettorale rappresentava infatti la dimensione popolare del Palazzo.
Fin dall’inizio della cosiddetta Seconda Repubblica abbiamo invece assistito al progressivo maturare di una sorta di nuovo manicheismo: il Palazzo è di per sé un fatto negativo, e finisce con l’essere percepito quasi come il male assoluto. Il Popolo invece ha pian piano finito con l’essere percepito come l’unica fonte di legittimazione democratica.
Le decisioni che si dovranno pertanto assumere nel corso delle prossime settimane finiranno necessariamente con l’essere caratterizzate o dalla presa d’atto conclusiva che tra popolo e Palazzo vi può essere conflitto ma non anche equilibrio, o dall’auspicabile ricerca di un nuovo equilibrio politico-istituzionale tra popolo e Palazzo.



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