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Immigrazione, che cosa possono fare l’Europa e l’Italia

In seguito alle stragi del mare che di nuovo hanno colpito i migranti del Mediterraneo, a sud della Sicilia, si è innescata la consueta deriva demagogica, con i soliti palleggiamenti di responsabilità tra livelli decisionali europei e sovranità nazionale e le consuete dietrologie con riferimento alle responsabilità politiche e legislative delle parti contrapposte.

Questa abitudine a utilizzare la tragedia dei migranti del mare per rendere più efficaci le invettive sugli avversari ha sovente favorito, nel corso degli anni, la tendenza della politica a sottrarsi alla ricerca di strategie aggiornate e condivise rispetto a un fenomeno di intensità crescente che deve essere attentamente monitorato e gestito, con razionale professionalità e spirito di solidarietà, evitando il panico, gli sterili allarmismi e la demagogia. Le carrette del mare dirette in Sicilia e, soprattutto, a Lampedusa sono conseguenza inevitabile delle piaghe croniche del continente africano e del Medio Oriente e delle degenerazioni di quelle Primavere che tante speranze avevano ingenerato. L’Italia e Lampedusa non devono essere lasciate sole di fronte a un tale fenomeno! La regolazione e il controllo dei flussi devono investire le competenze dell’Unione Europea come soggetto politico sovranazionale direttamente interessato a regolare gli ingressi da una sua estrema frontiera e tenuto a garantire la protezione umanitaria a coloro che, varcando le acque territoriali di un paese membro, invochino soccorso e salvezza.

Coloro che fuggono le guerre, le repressioni e le pandemie cercano l’Europa, più che l’Italia e spesso sono intenzionati a stabilirsi in paesi diversi dal nostro, talvolta addirittura fuori dall’Europa stessa. Cercano l’Occidente democratico, del welfare, dei diritti, altrove negati e delle opportunità, non necessariamente in Italia. Troppo poco invocare come causa remota delle tragedie e dell’insufficiente accoglienza la legislazione italiana vigente. Difficile pensare che gli esodi clandestini da paesi disastrati come Somalia, Eritrea, Siria, si arrestino, o si favoriscano sensibilmente in virtù di leggi più o meno restrittive, di reati previsti solo sulla carta o di modalità burocratiche troppo onerose. Dalle tragedie che minacciano la sopravvivenza, chi può cerca di fuggire in condizioni di fortuna e in questi casi non sempre è possibile dotarsi dei requisiti richiesti dalle normative nazionali e forse neanche preoccuparsi dei vincoli posti dalle normative stesse. Su molti fronti è necessario operare per individuare soluzioni, quello degli accordi con i paesi di partenza e di transito, quello della cooperazione in loco, quello del pattugliamento e quello della redistribuzione di coloro che arrivano, tra i diversi paesi dell’UE.

Sarebbe necessaria una vera politica estera europea, ancora molto carente, nonostante la nomina di un Ministro degli Esteri dell’Unione. In un contesto di intervento a 360 gradi entra in gioco la necessità di rivedere la legislazione nazionale dei paesi di approdo e di transito (e tra questi c’è naturalmente l’Italia) e di armonizzazione delle normative stesse tra i diversi paesi dell’Unione Europea. Nell’ordinamento italiano la legge 189/2002 (Bossi-Fini) ha inasprito, sotto l’innegabile influsso leghista, una regolamentazione organica già posta in essere dal Testo Unico Turco-Napolitano del 1998. Fu soppressa la figura dello “sponsor” del migrante, furono resi effettivi e cogenti i respingimenti e, in particolare, fu introdotto il “permesso di lavoro-soggiorno”, subordinando l’ingresso nel territorio nazionale all’esistenza di un rapporto di lavoro in Italia, sorto in virtù di un contratto concluso dallo straniero addirittura nel paese di origine, attraverso le sedi diplomatiche, con tutti gli immaginabili disagi per l’immigrato che già si trovi in territorio italiano e per il potenziale datore di lavoro.

In questo istituto si ravvisa l’aspetto farraginoso e cervellotico di una legge un po’ troppo imbevuta di demagogia e di paura che, in questo modo, è diventata vecchia e inadeguata già nel momento stesso della sua entrata in vigore (tanto che si rese necessario che fosse accompagnata da una mega sanatoria di coloro che già si trovavano in Italia) e la concreta esperienza, dopo oltre un decennio dall’approvazione, ne rivela ormai limiti e crepe. Del resto, un fenomeno che registri una siffatta evoluzione richiede un continuo monitoraggio delle relative normative nel corso del tempo e successivi aggiornamenti, in virtù degli effetti riscontrati. Ancor più inadeguata e ai limiti del paradosso l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, con legge 94/2009 (nota come legge Maroni). Una norma inapplicabile da un sistema giudiziario già tanto intasato, profondamente ingiusta, perché trasforma in colpevoli persone che fuggono per salvare la propria vita – e rischiando ancora sul mare quella stessa vita -, inefficace, perché i continui sbarchi dimostrano quanto vano si riveli il deterrente.

A una correzione di queste normative nazionali deve soprattutto accompagnarsi un serio piano europeo, consapevole delle dimensioni del fenomeno e proporzionato alle sue implicazioni e ricadute. Lampedusa, come altri approdi del Sud Europa, è una frontiera dell’UE. Non può essere abbandonata a se stessa! Le dimensioni e implicazioni del fenomeno migratorio richiedono l’impegno delle risorse politiche, finanziarie, tecnologiche dell’Unione. Frontex non si è rivelato sufficiente, nelle ultime settimane il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri Ue hanno introdotto il sistema Eurosur per controllare le frontiere nel Mediterraneo attraverso strumenti satellitari, monitorando così i flussi di migrazione via mare. Al tempo stesso l’Unione Europea e l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati dovrebbero allestire dei centri specializzati negli stati dai quali partono le carrette del mare, per un primo screening dei richiedenti asilo, accertandone i requisiti (e l’Italia dovrebbe finalmente dotarsi di una legge adeguata sul diritto di asilo). All’esigenza di affrontare con strumenti adeguati l’emergenza sbarchi si affianca la necessità di una pianificazione e di una regolamentazione degli ingressi, in base alle compatibilità economico-sociali e alle possibilità occupazionali.

I migranti costituiscono una risorsa preziosa per la sopravvivenza delle economie europee e dei nostri sistemi di welfare, minacciati dalla denatalità e dal conseguente buco demografico. Le legislazioni nazionali dovrebbero dunque attirare, anziché scoraggiare, i lavoratori provenienti dai paesi terzi, ma in base ad una programmazione previdente dei flussi.


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