Tra i tanti cavalieri bianchi italiani che sono stati accostati o si sono accostati all’Alitalia negli ultimi anni, le Ferrovie dello Stato sono, nonostante le apparenze, quello più credibile. Non lo erano fin dall’inizio gli imprenditori “patrioti” o “coraggiosi”, che facevano altri mestieri e guardavano generalmente all’investimento in Alitalia come una parentesi poco significativa della loro attività imprenditoriale. Non può esserlo la Cassa Depositi e Prestiti e neppure le banche, che non sono in grado di offrire ad Alitalia alcuna sinergia di tipo industriale ma al massimo solo un polmone finanziario a tempo. Non in grado di risollevare le sorti della compagnia di bandiera ma semmai di prolungarne lo stato di crisi permanente (il che, guardando alle tante occasioni fallite degli ultimi 15 anni, in primis l’integrazione con KLM, ha rappresentato un male più che un bene).
In questo senso, cosa può aggiungere di diverso FS? A parte naturalmente l’ennesimo ossigeno a scadenza, nell’immediato valutabile intorno ai 500 milioni di euro (300 di nuovi prestiti e 200 di ricapitalizzazione).
Non c’è dubbio che per i collegamenti principali del Paese, treno e aereo siano oggi più complementari che sostituti (e l’ingresso sul mercato dei treni ad alta velocità che abbatteranno i tempi di percorrenza tra Roma e Milano intorno alle 2 ore e 30 sarà il certificato di morte di ogni concorrenza residua da parte del vettore aereo). Questo significa che l’eventuale legame tra Alitalia e FS (con una partecipazione azionaria della seconda nella prima tutta da stabilire, ammesso che il progetto vada avanti) assomiglia in larga misura più a un’integrazione verticale che ad una orizzontale. Dunque, con ricadute sui consumatori, sia italiani che stranieri, decisamente migliori. Mentre, infatti, non c’è dubbio che un’integrazione orizzontale limiti la concorrenza senza produrre alcun beneficio per i consumatori (almeno in un mercato che non abbia caratteristiche di monopolio naturale), nel caso di un’integrazione verticale i possibili danni da un punto di vista concorrenziale possono essere più che compensati dai potenziali vantaggi per i fruitori del bene o servizio. Pensiamo, tanto per citare le conseguenze più immediate, a possibili pacchetti integrati di trasporto (con conseguenti sconti) per i turisti stranieri ma anche per gli italiani che non abitano nelle grandi città (purché si vada verso un incremento medio della qualità del servizio ferroviario al di fuori del perimetro dell’alta velocità, grazie anche a un migliore impianto regolatorio di quello attuale).
Queste conseguenze positive, tuttavia, potrebbero essere più che controbilanciate negli attuali assetti di mercato, che soprattutto nel trasporto ferroviario rappresentano un freno importante alla concorrenza e che, in un’ipotesi di integrazione con Alitalia, potrebbero diventare un blocco definitivo.
In primo luogo, in cambio dell’OK all’operazione, il Governo dovrebbe assicurarsi la separazione proprietaria della rete ferroviaria e delle altre infrastrutture (a partire dalle grandi stazioni) da Trenitalia, secondo tempi prestabiliti. Non c’è dubbio che oggi anche soggetti con le spalle larghe, come NTV, se la debbano vedere con un sistema che intralcia in una miriade di modi i new entrant, dagli elevati prezzi di affitto della rete ferroviaria alla logistica scriteriata delle stazioni. Molto meglio sarebbe abbandonare la guerra di attrito in atto, combattuta a colpi di carte bollate, che alla fine rappresenta un costo elevato per il sistema, imboccando nuovi scenari concorrenziali (dove ad esempio i competitor di Trenitalia siano in grado di allearsi con i competitor di Alitalia sul mercato domestico). Per evitare possibili sorprese negative, ci sarebbe inoltre più che mai bisogno di un’attenta vigilanza sia sul mercato aereo che su quello ferroviario e dunque di una rapida operatività dell’Autorità dei Trasporti, di cui finora si è parlato esclusivamente per le polemiche sulle nomine e sulla sede ma dalla quale ci si aspetta un ruolo fondamentale di guardiano della concorrenza.
Sul fronte del trasporto aereo, occorrerebbe assicurare l’effettiva possibilità per vettori italiani e non di sfidare Alitalia nelle tratte interne dove ci sia un’effettiva concorrenza intermodale (lasciando naturalmente l’individuazione di queste tratte alla libera scelta privata).
A queste condizioni, potrebbe aver senso immaginare un ruolo di FS dentro Alitalia. Più di quello di Air France, che non ha evidentemente nessuna voglia di far crescere Alitalia nelle tratte a lungo raggio. E che ha come azionista principale (con il 15,9%) lo Stato francese. Se davvero vogliamo dare Alitalia a un proprietario pubblico, meglio sceglierselo in casa. Con tutte le alleanze del caso con altri vettori aerei (non solo AF).