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I partiti italiani alla prova del fundraising anglo-americano

Per le tre giornate della “Leopolda ‘13” Matteo Renzi ha colto ogni pausa per chiedere risorse economiche. E gli sforzi dell’aspirante leader del Partito Democratico si sono rivelati proficui visto che la raccolta di versamenti volontari ha raggiunto i 9mila euro.

Tuttavia gli appelli dell’ex fautore della Rottamazione, coerenti con una politica di auto-finanziamento che in Italia ha trovato espressione nelle campagne referendarie dei Radicali di Marco Pannella, costituiscono un’eccezione in un Paese attestato agli ultimi posti tra le democrazie occidentali per modernità e volume della raccolta di fondi per i partiti.

È questo il risultato del Rapporto 2013 “Fundraising per la politica. Analisi comparativa tra Italia, Stati Uniti e Regno Unito”, promosso dal think-tank Competere.Eu e realizzato dal Centro Studi sul No Profit, reso pubblico oggi a Montecitorio.

RIDURRE I FINANZIAMENTI PUBBLICI
Il tema dei costi della politica, ha spiegato il segretario generale di Competere.Eu Roberto Race, è alla base della disaffezione dei cittadini verso le Istituzioni. Ma il taglio dei contributi statali diretti agli apparati delle forze politiche previsto dal progetto di legge governativo approvato dalla Camera dei deputati e ora all’esame di Palazzo Madama, potrebbe promuovere una trasformazione della natura e dell’identità dei partiti. Costretti a focalizzare le proprie energie in precise campagne tematiche e territoriali su cui richiedere l’adesione e il contributo libero di cittadini e militanti.

Ma tale “rivoluzione copernicana” richiede l’adozione di tecniche moderne di fundraising, che nel panorama politico restano scarsamente sviluppate. Ritardo tanto più preoccupante, rileva l’esperta di comunicazione politica Marina Ripoli, “perché il finanziamento volontario diffuso è il più robusto antidoto alla rete di scambi, tornaconto, contro-prestazioni presenti nella donazione di denaro da un privato a un politico”. Ma per far crescere una contribuzione spontanea di tanti piccoli versamenti, è necessaria una forte identità e riconoscibilità del partito: “Basti pensare alle cravatte del New Labour che vanno a ruba nel Regno Unito”.

LE CIFRE DEL RAPPORTO “Fundraising 2013”
L’indagine, illustrata dall’esperto di fundraising e people raising per la politica Raffaele Picilli, rivela due fenomeni incoraggianti che avvicinano il nostro Paese al mondo anglo-americano. Nelle home page dei siti di alcune forze politiche – spesso le più grandi oltre a Radicali e Fare per Fermare il declino – lo spazio che invita alla donazione risulta ben evidenziato e suggerisce al potenziale sostenitore varie forme di versamento. E il 65 per cento delle forze politiche ricorre a Facebook, Twitter, Youtube. Le novità si fermano qui. Nel 2013 soltanto il 45 per cento dei partiti ha utilizzato tecniche professionali di raccolta fondi – il 5 per cento mette in vendita gadget e prodotti di merchandising – e appena il 25 archivia i dati dei propri donatori. Mentre negli Usa e Oltremanica tutti i gruppi ricercano e ottengono fondi da supporter privati e aziende – in genere con carta di credito e in Rete – e il 100 per cento documenta le informazioni sui finanziatori. A Washington tuttavia il tesseramento riguarda un quarto della raccolta, a Londra l’intero fundraising. A riprova di un modello politico a metà strada tra il partito europeo pesante e radicato e la formazione nordamericana leggera ed elettorale.

Altra lacuna riguarda la trasparenza dei bilanci, che in Italia vengono messi sul web dal 40 per cento dei gruppi. E la capacità di organizzare una rete di volontari, visibile nel 5 per cento dei partiti. Volontariato politico che negli Stati Uniti coinvolge il 50 per cento dei movimenti e nel Regno Unito interessa la totalità delle forze. Il nostro Paese registra poi un divario giuridico. Manca una codificazione del ruolo del fundraiser. E il meccanismo del 2 per mille introdotto dalla Camera dei deputati rischia di rendere riconoscibile l’orientamento politico del contribuente.

LE VOCI DEI TESORIERI DI PD E PDL
L’Italia si avvia verso un modello che ha consentito a Barack Obama di vincere con un oceano di micro-donazioni, segno di un aumento di partecipazione civica? È presto per dirlo. Le letture offerte dai tesorieri dei due principali partiti sono antitetiche. Antonio Misiani del Partito Democratico rimarca la necessità di una rottura rispetto al modello statalista e burocratico creato negli ultimi vent’anni, e della restituzione ai cittadini della facoltà di scegliere – con il 2 per mille o tramite versamenti fiscalmente agevolati con detrazioni del 37 per cento per contributi fino a 20mila euro e del 26 per quelli superiori – se e quanto destinare alle formazioni politiche.

A suo giudizio “l’azzeramento del flusso di risorse pubbliche dirette, che fino a oggi incideva per l’80-90 per cento sulla vita di forze divenute parastatali, le spingerà a dover raccogliere tante risorse dai cittadini. E per farlo esse dovranno essere credibili e meritevoli di adesione, vive e dinamiche nella società”. Per evitare il passaggio dalle erogazioni statali all’intervento dei miliardari che prendono in mano i partiti e per arginare il fenomeno dell’aspettativa di un tornaconto e contro-prestazione, rimarca il parlamentare del PD, sono stati posti tetti ai contributi privati che non potranno oltrepassare i 300mila euro. Il tesoriere del Nazareno, auspicando una regolamentazione giuridica delle lobby, nutre fiducia che le primarie di dicembre si trasformino nel più straordinario evento di fundraising. Ma va oltre, ipotizzando che l’auto-finanziamento venga destinato non al PD nazionale bensì alle iniziative animate da circoli e dai gruppi democratici sul territorio.

Pervasa di brutale realismo è la valutazione del tesoriere del PDL-Forza Italia Maurizio Bianconi, l’unica carica non azzerata nel centro-destra: “Nel nostro Paese è finita l’epoca delle donazioni per fede politica, come il regalo di Botteghe Oscure al PCI per opera del costruttore Alfio Marchini. Poiché i piani regolatori interessano più dei progetti di un partito, chi versa denaro per una forza politica investe per un profitto ben preciso”. Lo scetticismo sospettoso del parlamentare verso il fundraising è accresciuto dalla legge sul finanziamento dei partiti all’esame del Parlamento: “Una normativa pessima che rischia di privilegiare un piccolo gruppo guidato con spirito imprenditoriale e abili capacità di raccolta fondi rispetto a una grande formazione ontologicamente inadeguata a tale missione”. Per Bianconi il centro-destra italiano, che al contrario del PD non può contare su CGIL e patronati, non deve puntare sull’auto-finanziamento ma sul tesseramento capillare. Strategia adatta per la politica del terzo millennio?



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