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Le nuove opportunità offerte dalla “dry biology”

Viviamo nell’era dell’informazione. Questo sta producendo una vera e propria rivoluzione in campo biologico. Impressionante è la produzione di dati dovuta allo sviluppo delle nuove metodologie “omiche” come il sequenziamento del DNA e la proteomica, o le innumerevoli tecniche che permettono di ottenere immagini di campioni biologici sia da organismi viventi che da preparati. Un po’ come le fotografie che ognuno di noi fa con le macchine digitali. Tutti questi dati vengono immagazzinati in banche dati su computer. E il numero di banche date pubbliche, accessibili a tutti gli scienziati del mondo, cresce in modo esponenziale.

Una miniera di informazioni che se opportunamente utilizzate possono permettere di ottenere scoperte fondamentali senza la fatica di andare al banco a fare esperimenti con le proprie mani. In inglese, si parla di “wet biology” e “dry biology” per distinguere la ricerca fatta al banco (wet, umida perché prevede l’uso di soluzioni acquose e campioni biologici) da quella che non prevede di sporcarsi le mani perché sviluppata al computer. Chi vuole saperne di più può leggere l’editoriale pubblicato su Science una settimana fa (http://www.sciencemag.org/content/342/6155/186.summary).

Così un po’ in tutto il mondo stanno nascendo gruppi di ricerca misti, composti da ingegneri, biologi, medici matematici, fisici che cercano di trovare risposte a quesiti biomedici fondamentali analizzando la mole impressionante di dati prodotti da altri ricercatori. Questo è il caso di Atul Butte alla Stanford University in California che grazie all’analisi delle banche dati pubbliche ha fatto scoperte sul diabete, l’obesità, il rigetto di trapianti e ha suggerito l’impiego di nuovi farmaci contro il tumore al polmone e altre malattie. Questo tipo di studi prevede l’impiego di super-computer e sviluppo di nuovi algoritmi atti a maneggiare quantità incredibili di dati. Basta pensare che la sola GenBank dell’NIH contiene più di 170 milioni di sequenze per 160 Miliardi di nucleotidi. I dati di sequenziamento che verranno prodotti sui pazienti in tutto il mondo rischiano di far crescere questo numero in modo esponenziale ogni anno. Sono necessari investimenti ingenti. Ma le ricadute sia in campo medico che agroalimentare promettono di essere notevoli. E possono contribuire a ridurre l’impiego di sistemi modello animale, un tema etico molto sentito nei paesi occidentali.

Negli USA la National Institutes of Health (NIH) ha recentemente annunciato l’intenzione di finanziare con quasi 100 milioni di dollari questo tipo di ricerche. In Italia il MIUR e il CNR hanno lanciato nel 2011 il progetto InterOmics 
che si propone come una piattaforma integrata di conoscenze pluridisciplinari per l’applicazione delle scienze “omiche” alla definizione di bio-marcatori e profili diagnostici, predittivi e teranostici. Sostenere questo tipo di attività è un modo per far crescere non solo la ricerca ma anche il mondo delle imprese biotecnologiche.



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