Non possiamo più girarci dall’altra parte. Le vicende che stanno scuotendo da tanti, troppi, mesi la Libia riguardano l’Italia e l’Europa molto più di quanto non si possa immaginare. Le sorti del paese nord africano sono cruciali per la stabilità dell’intera area ma non solo. Tripoli e Bengasi sono diventate le capitali del traffico di armi e crocevia di terroristi. Qui le organizzazioni affiliate ad Al Qaeda hanno insediato un avamposto particolarmente temibile, tanto più che è affacciato a poche miglie dalle coste italiane che sono la frontiera con l’Europa.
Non parliamo poi degli interessi internazionali – e anche italiani – nel campo delle risorse energetiche e degli investimenti in infrastrutture. Il nostro Paese ha sempre avuto un rapporto particolarmente forte con la Libia e per quello che è stato per lungo tempo il suo raiss, Gheddafi. L’intervento francese e l’assassinio del dittatore sembravano aver messo fuori gioco l’Italia. In realtà, come spesso accade, la storia non si può cancellare con un tratto di matita e le nostre radici hanno – sin qui – resistito. Lo ha ben compreso il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il quale quando ha incontrato per la prima volta Enrico Letta al G8 in Irlanda gli ha chiesto di occuparsi proprio del dossier Libia.
Il nostro premier naturalmente non si è fatto sfuggire l’occasione e a luglio ha ricevuto a Palazzo Chigi il collega libico, quello Zeidan che stamane è stato sequestrato e poi liberato in risposta al rapimento, la settimana scorsa, del terrorista Abu Anas Al-Liby dai Navy Seal degli Stati Uniti. L’impegno solenne era quello di organizzare, a Roma, una Conferenza Internazionale volta a definire una strategia per consolidare la stabilizzazione del Paese. Purtroppo gli eventi sono stati più rapidi. La nostra diplomazia, sentiti anche i nostri alleati, aveva scelto un approccio attendista. Bastava non solo leggere i dispacci dell’intelligence ma la cronaca per capire che invece bisognava accelerare.
Il livello di disordine ed anarchia è tale che bisogna mettere nel conto che non serviranno solo nuovi aiuti economici. Nazioni Unite, Europa e Nato debbono essere pronte ad un impegno consistente e più si aspetta e più le difficoltà saranno maggiori. Se la Francia è stata la più lesta ad armare la protesta in Libia, l’Italia può e deve essere la prima ad armare il processo di pacificazione. Oggi, il ministro Mario Mauro ha avuto la prontezza istituzionale di convocare prestissimo un vertice della Difesa. Ha dato un segno di reattività positivo e che va incoraggiato. Enrico Letta può proprio sul piano internazionale esprimere compiutamente il valore ed i valori della “nuova” Italia.