Marina contro Matteo? Non solo per via dell’iniziale del nome in comune con il nuovo leader del Pd, Matteo Renzi, ma anche perché occorre cambiare linguaggio e immagini.
Marina Berlusconi a capo della nuova Forza Italia è sempre di più un’opzione realistica (più che una suggestione) nella strategia del Cavaliere di ridare fiato alla propria proposta politica.
Decisivo in questa fase sembra essere stato “lo schiaffo” inflittogli dal figlioccio Angelino Alfano: un passaggio che ha accelerato un processo fisiologico caratterizzato dalla convinzione che la soluzione interna fosse l’unica in grado di assicurare il meglio quanto a equilibri fra politica, azienda e rapporti personali.
Donna e figlia
I motivi della scelta che farebbero ricadere sul numero uno di Mondadori la responsabilità politica del nuovo contenitore battezzato lo scorso venerdì a Palazzo Grazioli, spaziano attraverso metodo, merito e brand. Il Cavaliere ha metabolizzato la delusione del delfino Alfano, anche se non senza conseguenze. Raggiungendo la piena consapevolezza che l’ambito familiare è l’unico da cui non potranno giungere atteggiamenti e derive “da tradimento”. Più di qualcuno ha ricordato all’ex premier che la Casa delle Libertà e poi il Pdl praticamente ogni anno sono stati interessati da scissioni, rotture e abbandoni: Udc, Lega, An poi Fli. Segno che, è il ragionamento dei berlusconiani doc, non si può che guardare al marchio di fabbrica familiare per immaginare una leadership, nuova e affidabile, che non contempli al proprio interno il germe dell’ambizione diversificata. Ma non è tutto, perché le due qualità oggettive che Marina porta in dote, il vincolo familiare e la quota “rosa” non sono elementi secondari, tutt’altro.
Strategia
Il Cavaliere ha ormai compreso come sia imprescindibile, per una volta, anteporre la strategia difensiva all’italiana al calcio champagne. Una metafora calcistica che qualche stretto consigliere avrebbe tirato fuori per sposare la causa Marina. Dal momento che il Pd è ormai sempre più orientato a una segreteria targata Renzi, per offrire una valida alternativa dall’altro versante della barricata, occorre una leader giovane, capace, fresca e soprattutto donna. Che faccia parlare il proprio curriculum, che non sia vista solo come una plastica estensione del verbo familiare ma sia essa stessa volto riconosciuto e riconoscibile. Di qui la strategia che ha intensificato nelle ultime settimane i briefing con gli uomini comunicazione che stanno affiancando questa fase “embrionale” di Marina Berlusconi: Paolo Del Debbio e Bruno Ermolli su tutti, ma senza dimenticare i direttori dei tg Mediaset e uno stratega come Ubaldo Livosi, berlusconiano da sempre.
Resistenze
Ciò non significa che le resistenze, in primis della diretta interessata, siano tutt’un tratto scemate, anzi. Ci sono ancora blocchi di incertezze su elementi oggettivi circa la bontà dell’operazione “Marina a capo di Fi”. Innanzitutto i riverberi societari, con alcuni dossier che già lo scorso luglio fecero capolino su certa stampa italiana, senza dimenticare la successione alle cariche ricoperte dalla primogenita. Logica vorrebbe che i numeri due si facessero avanti, quindi i figli di secondo letto (Barbara, Eleonora, Luigi) su cui permangono ancora perplessità circa lo spessore manageriale. Se Barbara ha mosso i primi passi nel Milan, senza qualche mal di pancia di un dirigente navigato come Adriano Galliani, gli altri sono ancora quasi neofiti e verrebbero catapultati sul ponte di comando di due corazzate come Fininvest e Mondadori. Ma sembra che al punto in cui il partito (Pdl) e il leader (Silvio Berlusconi) si trovano oggi, il rischio possa essere tranquillamente corso, sussurra un manager di Publitalia “in campo” sin dal 1994. Perché l’alternativa “sarebbe l’oblio democristiano a cui Alfano sta lavorando”.
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