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Papa Francesco ama davvero la Teologia della liberazione?

Le aperture del Vaticano alla Teologia della Liberazione, con tanto di paginate sull’Osservatore Romano a celebrare la traduzione in italiano di un libro a quattro mani scritto da Gustavo Gutierrez e Gerhard Ludwig Muller, non sono state accolte con benevolenza da tutti.

Se il politicamente corretto impone di segnalare come in realtà da Roma non vi fu mai una condanna totale al filone teologico sviluppatosi in America latina negli anni del post-Concilio, oltreoceano si alzano le voci controcorrente. E’ il caso dell’arcivescovo di Lima, il cardinale Juan Luis Cipriani Thorne, che torna sull’argomento per bacchettare il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.

“Confermo tutto, Muller è un ingenuo”
In un’intervista pubblicata sul quotidiano Comercio, il porporato (appartenente all’Opus Dei) conferma il giudizio poco lusinghiero su mons. Muller: “Torno a qualificarlo come ingenuo. Gustavo Gutierrez ha celebrato la messa con il Papa assieme ad altri 25 sacerdoti. Alla fine, Francesco saluta tutti, e fa lo stesso con Gutierrez. Non inventiamoci udienze o riconciliazioni”. Ma lo scontro non si ferma qui, visto che da Roma il combattivo ex vescovo di Ratisbona nominato nel 2012 da Benedetto XVI all’ex Sant’Uffizio, risponde: “Non mi importa molto essere ingenuo, ma è necessario riconciliare i partiti che esistono dentro la chiesa. Tutti accettiamo la sana dottrina della chiesa, è possibile avere un certo pluralismo nello stile della pietà con cui si venera Dio”. Frasi che non convincono affatto il cardinale Cipriani, che spiega: “Non sono d’accordo con l’affermazione secondo la quale nella chiesa ci sono partiti. Creo ci sia stato un equivoco. Monsignor Muller è incaricato di difendere la sana dottrina della fede nella chiesa, quindi deve lasciar perdere questa ingenuità ed essere più prudente. Glielo dico in tutta umiltà”.

La conferma all’ex Sant’Uffizio decisa da Bergoglio
Il problema è che le scelte del prefetto sembrano essere pienamente condivise dal Papa, tanto che a fine settembre Muller è stato confermato nel suo ufficio. Non più con la formula donec aliter provideatur, finché non si provveda altrimenti, ma in modo stabile. L’ex vescovo di Ratisbona era stato scelto (non senza dubbi) da Benedetto XVI dopo il ritiro per raggiunti limiti d’età del cardinale William Levada. “E’ così, è stato confermato”, dice Cipriani: “Conosce la teologia e sta curando l’opera omnia di Ratzinger, è un accademico che proviene dal mondo universitario. Nessuno dubita delle sue capacità intellettuali”.

La simpatia per la Teologia della Liberazione
Eppure la questione è aperta. Già quando il nome di Muller iniziò a circolare nei sacri palazzi come secondo successore di Joseph Ratzinger alla dottrina della fede, più d’uno espresse perplessità. Era noto il legame del “candidato” con la Teologia della liberazione, così alacremente combattuta dal teologo bavarese negli anni Ottanta sotto il pieno mandato di Giovanni Paolo II. Eppure, Benedetto XVI non diede troppo peso alla questione e firmò la nomina. I due si conoscono da tempo, il Papa oggi emerito aveva la piena fiducia nel vescovo di Ratisbona, al punto da avergli commissionato la cura della sua opera omnia teologica.

La porpora mancata (per ora)
Qualcuno disse che poi Ratzinger si era pentito della scelta, dal momento che escluse il prefetto della dottrina della fede dal Concistoro (l’ultimo di Benedetto XVI) dello scorso novembre in cui nominò sei nuovi cardinali. Una decisione che fece rumore, ma che fu spiegata, molto più banalmente, con l’intenzione di riequilibrare i pesi all’interno del Sacro Collegio: dopo l’infornata di porpore curiali del febbraio precedente, bisognava dare un segnale anche al resto del mondo. E così furono creati cardinali un indiano, un colombiano, un libanese, un filippino, un nigeriano e un americano. Con ogni probabilità, al primo Concistoro di Francesco (si parla di febbraio), il prefetto riceverà la porpora.



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