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Pd e Pdl divisi tra popolo e partito

Un rilevante dibattito culturale e politico – purtroppo non sempre percepito come tale – sta attraversando sia il Partito Democratico sia il Popolo della Libertà: quale rapporto tra popolo e partito?

Il Pd ha finalmente deciso di svolgere il proprio congresso il prossimo 8 dicembre.

Si tratta di uno “strano” congresso, perché non è in alcun modo chiarito il rapporto tra le primarie – che sono aperte anche ai non iscritti storici – e il conseguente congresso vero e proprio, che per sua natura si basa su “delegati”, che per definizione non possono essere occasionali.

Questa sembra la sostanziale divisione tra chi – come Renzi – sembra privilegiare proprio le primarie rispetto ad un modo antico di considerare un congresso, e chi – come Cuperlo – sembra parlare ancora di partito sul modello dei partiti politici del ‘900.

È probabilmente in questo senso che la “rottamazione” di cui parlava Matteo Renzi andava definita.

La vicenda del congresso-primarie del Pd andrà pertanto seguita sempre più all’insegna della distinzione tra popolo e partito.

Sembra infatti che in Matteo Renzi prevalga in qualche misura la logica elettorale di una candidatura a “capo del governo” rispetto alla aspirazione alla guida di un partito.

In una visione più antica questa dovrebbe infatti costituire il punto di arrivo di una candidatura, e non un punto di semplice passaggio in vista di elezioni politiche generali.

Discorso analogo sembra svolgersi all’interno del Pdl, anche se non è sempre chiara e definita l’idea di rapporto tra popolo e partito che i diversi contendenti hanno.

La distinzione tra “falchi “ e “colombe” sembra infatti riguardare quasi esclusivamente il rapporto che si intende avere tra il governo Letta e le elezioni.

Occorre infatti aver ben presente che sembra preferire un’antica logica di partito novecentesco chi – come Raffaele Fitto – invoca un congresso per risolvere le questioni di leadership, mentre le cosiddette “colombe” sembrano ancora avere una propria idea di equilibrio tra stabilità del governo e consenso popolare.

L’intreccio tra l’invocazione di un congresso e la consapevolezza della rilevanza del consenso elettorale costituisce pertanto il filo conduttore di un’analisi culturale e politica di quel che sta accadendo nel Pdl, andando al di là delle pur rilevanti questioni personali che vengono di volta in volta in evidenza.

L’esperienza concreta di un’evoluzione democratica dei sistemi politici europei o di matrice europea pone dunque in evidenza, anche in questo caso, la necessità di un nuovo equilibrio tra popolo e partito.

Il fatto che si sia passati dall’antica sovranità nazionale ad un processo sovranazionale molto complesso quale è l’attuale processo di integrazione europea, rende la ricerca del nuovo equilibrio sempre più necessaria, se si vuole che l’Europa passi da una sorta di semplice area di libero scambio ad un vero e proprio esperimento, anche nuovo, di rapporto vecchie sovranità nazionali e la tutt’ora parziale prevalenza europea.

Non è dunque in gioco oggi soltanto questo o quel governo nazionale, ma proprio il rapporto tra Italia e integrazione europea.

Questo rapporto si è venuto definendo prevalentemente in termini economico-finanziari, finendo quasi con il dimenticare le radici ideali che avevano indotto alcuni grandi leaders democristiani del passato – quali De Gasperi, Adenauer e Schumann – proprio a dar vita ad un equilibrio tra popolo e partiti, nella consapevolezza che il popolarismo poteva degenerare in populismo, e che il primato dei partiti poteva a sua volta degenerare in partitocrazia.

Le ormai imminenti elezioni europee potranno pertanto costituire il contesto ideale per un’adeguata riflessione dei rapporti tra i singoli partiti nazionali e il processo d’integrazione europea nel contesto della nuova globalizzazione.



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