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Potenziamo i diritti tv del calcio, ma rifondiamo anche tutto il resto. Altrimenti il sistema non cresce

Entro la prima metà di novembre i club di Serie A saranno chiamati a votare sulla proposta formulata da Infront Italy. Una proposta che vale circa 5.49 miliardi di euro sul terreno dei diritti audiovisivi per sei stagioni. Dopo un confronto, sia scritto sia orale, in data 7 ottobre scorso (con la raccolta da parte della Lega delle principali domande delle squadre) è arrivato ora il momento per i club di esprimersi sulla proposta dell’advisor.

I club vorrebbero posizionassi nella cornice del biennio, Infront invece, punta ad un periodo più lungo, perché il rischio imprenditoriale (calcolando tra l’altro che non si è ancora usciti dal tunnel della crisi) è troppo alto e solo un arco temporale di maggior respiro consentirebbe di ammortizzare l’intera operazione. L’ipotesi biennio, su una offerta così elevata, invece, sarebbe troppo a rischio.

In queste settimane, in cui si è letto di ben 4 altri competitor oltre Infront (tra cui IMG, Wassermann o KPMG), alla fine, però, di offerte similari o persino superiori non vi è traccia. Le ha annunciate Il Corriere della Sera, con tanto di squilli di tromba, ma poi, a parte qualche mail o chiacchierata informale, nessuno si è fatto “vivo”, perché assicurare una cifra similare o persino superiore.

Insomma, tanto rumore per nulla: articoli sui giornali che presagivano scenari da nuovo “Eldorado”, un documento firmato da alcune “sorelle”, ma alla fine alcune di queste, vista l’aria che tirava, hanno preferito far buon viso alla situazione, perché il momento è molto duro e al di là delle “alzate di scudi” in casa Juventus la situazione contingente della serie A a livello economico è strettamente collegata all’andamento, a torto o ragione, del valore dei diritti tv, la principale voce di ricavo per tutti e 20 i club di prima divisione. In attesa che vengano costruiti questi benedetti stadi, aperti ai tifosi 7 giorni su 7, 24 ore su 24.

 

C’è da chiedersi, però, come mai i club (almeno alcuni e solo alcuni) siano partiti, lancia in resta, proprio conte l’unico “asset” positivo (già da alcuni anni e in continua crescita nonostante la crisi) che può vantare il nostro sistema. Non è quantomeno strano come atteggiamento? Un autogol in termini.

 

Ma come mai non sento o non vedo uno straccio di documento di coesione, invece, sul tema, altrettanto valido, quanto strategico, della nuova “Governance” della Lega (se ne parla almeno da 5 anni)? Come mai non c’è un fronte comune sul tema dei nuovi stadi di calcio (un asset imprescindibile per una crescita globale del sistema)? Perché proprio su questo tema, visto che Andrea Agnelli è l’unico a poterlo vantare, non è in prima fila per generare un cambiamento reale del settore? Lo stesso Agnelli ha tuonato sui giornali: “Abbiamo bisogno di un altro tipo di presidente in Lega, è tempo di cambiamento”. Tutto molto giusto, ma perché, allora, non guida lui stesso questo vento di cambiamento a favore dell’intera serie A? Una serie A più competitiva renderebbe tutti i top club più forti. Perché non lo fa? E perché, ancora, non è alla testa di un fronte comune sul tema della tutela dei marchi e del merchandising ufficiale, dialogando con governo e Parlamento? Per due anni il deputato del PD Giovanni Lolli poi ha cercato (nella precedente legislatura) di portare avanti un ddl di tutela dei brand e dei colori sociali dei club. E’ finito in un cassetto di una commissione in attesa di una “calendarizzazione” mai avvenuta.

 

E lì dove erano le “sorelle” del calcio italiano? Come mai non si sono stracciate le vesti pur di tutelare i loro sacrosanti diritti individuali nel settore del licenzino? Ma, allora, di che cosa stiamo parlando? Secondo me del “nulla cosmico”.

 

Qui di stranezze nel calcio italiano ce ne sono veramente tante, ma non sicuramente nell’area dei diritti tv, l’unica isola felice al momento. Cerchiamo di proteggerla e migliorarla piuttosto che azzopparla.

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