“Italia, Europa, lavoro, educazione. Sono le nostre priorità a cui corrisponderanno 4 iniziative ben precise se verrò eletto leader del Pd. Obiettivi che realizzeremo con la rivoluzione della semplicità”. All’insegna di parole d’ordine centrali nella sua campagna per la guida del Partito democratico, Matteo Renzi ha concluso le 3 giornate della “Leopolda ‘13”. Lo ha fatto al cospetto di una platea entusiasta, in cui erano presenti politici come Dario Franceschini, Riccardo Nencini, Gennaro Migliore. Rappresentanti, gli ultimi due, degli alleati privilegiati di un Pd sempre più orientato anche con il primo cittadino di Firenze verso la rotta laburista. Mentre ha pensato forse al responsabile per i rapporti con il Parlamento lo scrittore Alessandro Baricco, fin dalla prima ora a fianco dell’ex fautore della rottamazione: “Nell’ultimo anno ho visto che i nuovi supporter di Renzi conservano la stessa mentalità di quando lo osteggiavano. Si sono avvicinati a Matteo perché hanno capito che conviene”.
La sinistra che ha in mente Renzi
L’aspirante segretario del Pd siede sul palco di fronte a Maria Elena Boschi, regista della kermesse fiorentina, e a Graziano Del Rio che rivendica “il valore dei luoghi pubblici e dei partiti politici come opportunità di crescita ed emancipazione in cui “ognuno si senta protetto, se stesso, eguale agli altri”. Annuncia che i versamenti volontari per l’iniziativa hanno raggiunto i 9.000 euro e prende la parola da un microfono che richiama i talk show radiofonici statunitensi. Ricorda che “la Leopolda è il luogo del ritorno a casa e a noi stessi, caratterizzato dalla voglia stupefacente di salutarsi, ascoltare e conoscersi”. Una base robusta per richiamare nuovi elettori per il Pd, “perché una sinistra ancorata alla rivendicazione identitaria delle bandierine di partito e che non ha il coraggio di cambiare non è sinistra ma destra”. È per questa ragione che, di fronte ad avversari esterni e interni che trovano la propria identità contro qualcuno, Renzi propone un patto in 4 punti, da verificare il prossimo anno sempre nella storica stazione fiorentina.
Riforme istituzionali e giustizia
Il primo capitolo riguarda le riforme delle istituzioni pubbliche. L’elenco è fin troppo noto. Superamento del bicameralismo perfetto che blocca la semplificazione normativa, con trasformazione del Senato in Camera delle autonomie. Dimezzamento del numero dei parlamentari. Revisione del Titolo V che ha complicato e aumentato le prerogative regionali sulle materie concorrenti come energia e turismo. Abrogazione delle province e riduzione radicale dei posti di lavoro nella politica. Il punto più delicato e controverso resta la riforma elettorale. Renzi rifiuta l’opzione tra Porcellum e Porcellinum e torna a rivendicare la bontà del modello in vigore per sindaci e assemblee delle grandi città, con una netta indicazione del candidato premier che gode di una forte legittimazione popolare trascinando con sé la maggioranza parlamentare: “Metodo che responsabilizza e pretende risposte dai vincitori della competizione”. Per il primo cittadino di Firenze non è rilevante che il meccanismo di voto sia proporzionale con premio di maggioranza o maggioritario uninominale: “Si tratta soltanto di tecnicismi. L’importante è sapere chi ha vinto nelle urne, che il vincitore abbia per legge i numeri per governare, che per 5 anni sia l’unico responsabile dell’esecutivo senza bisogno di larghe intese”.
Ma la vera sorpresa è nella sua apertura a una profonda riforma del pianeta giustizia. Esigenza “messa in luce dalla storia di Silvio: Silvio Scaglia, il fondatore di Fastweb che in vacanza alle Antille venne raggiunto da un ordine di custodia cautelare per truffa, scelse di tornare subito in Italia certo che la giustizia avrebbe provato la propria innocenza, parlò con i magistrati e scontò 12 mesi di arresti preventivi in prigione e a casa, con il blocco totale dei beni. Poi affrontò il processo e venne riconosciuto non colpevole”. Tutto ciò, spiega Renzi, mentre per vent’anni si è parlato di giustizia solo attorno a un’unica figura: “Per questo motivo è doveroso cambiare, non con norme ad personam bensì garantendo il sacro diritto di difesa per chi ne è sprovvisto e non è famoso”.
Le responsabilità dell’Europa
Il secondo pilastro del patto coinvolge un’Europa percorsa dal vento del populismo e dell’estremismo. Provocato, accusa l’aspirante leader del Pd, da istituzioni comunitarie che intervengono sui prodotti agro-alimentari tipici e restano latitanti sui grandi temi come l’immigrazione. Che si limitano a solenni appelli contro la legge Bossi-Fini anziché mandare navi di soccorso e controllo nel Mediterraneo, farsi carico del dramma dei rifugiati e profughi, rendere Lampedusa la vera porta dell’Europa. “Tutto ciò mentre Tripoli sta diventando il quartier generale di Al Qaeda e non si parla più di Primavera araba”. La strada da intraprendere per rivitalizzare l’Unione, spiega Renzi, è ragionare di Servizio civile volontario europeo, di un vero ministro degli esteri comunitario e di un’unica scuola di diplomazia continentale. E mettere in discussione i parametri finanziari Ue dimostrando di saper risanare i conti e ridurre drasticamente il nostro debito pubblico.
Lavoro e impresa
Il terzo architrave si chiama lavoro, “la seconda regione italiana con 6 milioni di persone in cui i progressisti perdono sempre. Perché offrono l’impressione di parlarne senza avere la voglia di cambiarlo”. A partiti e sindacati che “dovrebbero certificare bilanci e conti in forma trasparente e accessibile” Renzi promette un cambiamento radicale della formazione professionale e dei centri per l’impiego, la riduzione delle 2.100 leggi sul lavoro in 60-70 articoli traducibili in inglese per attrarre investimenti internazionali, la valorizzazione degli imprenditori che creano ogni giorno “il miracolo del lavoro e della ricchezza in un paese immobile che vive di rendite”. Ai fautori dell’italianità delle aziende l’ex fautore della rottamazione ricorda la vicenda Nuovo Pignone, che dalla privatizzazione del 1994 ad opera degli statunitensi di General Electric ha decuplicato i profitti e gli occupati restando in Italia, così come accaduto a Gucci finita in mani francesi. “Rispetto alla nazionalità del passaporto degli imprenditori, voglio difendere l’italianità della qualità del prodotto e della creatività, che avrebbero un mercato potenziale di 60 miliardi di euro in beni italian sounding rispetto ai 31 miliardi di export attuale”.
Cultura e educazione
Il quarto caposaldo tocca la cultura e l’educazione, “requisiti essenziali per la crescita del Prodotto interno lordo”. Bersaglio polemico di Renzi è la sequenza di riforme inutili realizzate negli ultimi vent’anni dai ministri dell’istruzione dei governi di ogni colore: “Interventi planati dall’alto sulla testa degli studenti senza che venissero consultati insegnanti e genitori. Con la complicità di un ceto intellettuale conservatore del potere conquistato dopo il Sessantotto, e che di quella stagione mantiene la vocazione a mistificare la verità”.
Il sindaco di Firenze promette di seguire i quattro punti della stella polare “con semplicità, per tradurre lo stupore in realtà”. Rivolgendosi ai ragazzi entrati in Parlamento a febbraio, lancia un monito: “Anche tra noi ultimamente vi è troppa attenzione al modo in cui veniamo raccontati dai mass media”. Per questo li esorta a “non inseguire l’auto-referenzialità, a restare umili, genuini e autentici, a liberarsi dall’illusione che una persona sola possa risolvere tutto”. Ma allo stesso tempo invita a “non porre steccati tra chi è arrivato prima e chi all’ultimo minuto, ad aprirci alla curiosità verso l’esterno e verso gli elettori Cinque Stelle e del centro-destra che non ne possono più. Perché se il Pd resta un coacervo di correnti non ha senso né vincerà”.