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Saccomanni raschia il fondo del barile con i capitali all’estero

Strumento chiave per la politica economica, definiva lo scorso settembre il ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni lo scudo fiscale da inserire all’interno della Legge di stabilità. Ma quanto sarebbe utile una mossa già utilizzata dai precedenti inquilini di piazza XX Settembre e soprattutto quali benefici apporterebbe al sistema finanziario italiano nel suo complesso?

Scudo
Solo 9 miliardi su 67 accertati: sono i numeri dell’ultimo scudo fiscale, che pur essendo stato avviato in pompa magna non ha sortito gli effetti desiderati. Una deriva che ha inizio nel 2002 quando fu avviato il primo di questi procedimenti che avrebbero dovuto far rientrare capitali dall’estero. Ma nonostante i 180 miliardi di euro di denaro esportato illegalmente il Pil italiano procapite è diminuito del 4,2 per cento. Colpa della crisi? Non solo. Innanzitutto la tassa chiesta dal governo agli evasori per godere del condono: dal 2,5 al 7 per cento, a seconda delle versioni che hanno prodotto un gettito totale di 7,8 miliardi. Una cifra che, ricorda Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, è pari all’1 per cento della spesa pubblica di un anno e al 5 per mille del Pil, ovvero “un salatino per sfamare un gigante bulimico”.

Risultati
Inoltre molta parte di quei denari che per il 70 per cento erano stati depositati in Svizzera prevalentemente da cittadini residenti in Lombardia, non ha fatto materialmente rientro nel nostro Paese, restando in Svizzera in virtù di un cavillo presente in una variante dello scudo: mentre da un lato era possibile regolarizzare i depositi pagando la tassa, dall’altro era consentito di lasciare i soldi proprio dove si trovavano in precedenza.

Sanatoria
I numeri spiegano meglio di commenti o analisi quale sia stato il saldo dei vari scudi fiscali. Su 97 miliardi di euro dell’ultima sanatoria censiti da Bankitalia, 67 erano in Svizzera ma 58 non sono stati spostati dai caveau in cui erano custoditi. Ragion per cui, anche a seguito del cosiddetto perdono tombale e della garanzia dell’anonimato davanti al Fisco, i denari rientrati anziché essere utilizzati per foraggiare gli investimenti, sono stati dirottati su altri fronti come attività finanziarie o acquisto di immobili. Un panorama senza dubbio poco incoraggiante in prospettiva di un negoziato con la Svizzera, con lo spettro delle indagini sull’autoriciclaggio affidate al magistrato milanese Francesco Greco.

Confronto
Ma è guardando in casa d’altri, ovvero a quei Paesi che da tempo hanno avviato un negoziato con la Svizzera, che si può operare un mini confronto. La Germania dal 2011 ha provveduto a siglare un’intesa che prevede il pagamento di una tassa del 26 per cento: unico vincolo richiesto il silenzio sulle generalità dei depositanti. L’Austria ha dovuto invece accettare un tetto di appena 300 richieste annuali di verifiche nominative. Entrambi gli esempi lontani anni luce dai numeri degli scudi italiani.



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