Muro di gomma a Palazzo Chigi? A vent’anni dall’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, che disciplina l’accesso agli atti, la Presidenza del Consiglio dei ministri ne rende difficile l’attuazione. Ciò, scrive in un’interrogazione il deputato del gruppo misto Lello Di Gioia, in spregio al principio di trasparenza, intesa come «accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche». Come dire che la tanto pubblicizzata trasparenza in questo e in altri casi non si è tramutata in fatti.
Porto delle nebbie?
La Presidenza del Consiglio dei ministri, emerge dall’interrogazione, negando sistematicamente l’accesso agli atti amministrativi “costringe” chi ne fa richiesta a ricorrere al Tar competente con aggravio di spese ed evidente danno erariale. In molti casi si sarebbero violati i più elementari principi di trasparenza, come in occasione del concorso pubblico per 18 posti di «specialista giuridico legale finanziario» (categoria A – parametro retributivo F1).
Tre i casi contestati
La Presidenza del Consiglio dei ministri nel corso degli anni 2011 e 2012 ha assunto dirigenti di seconda fascia attingendo dalle graduatorie dei non vincitori dei concorsi espletati dalla stessa Presidenza negli anni 2005 e 2006. In seguito gli idonei non assunti hanno fatto ricorso al Tar Lazio. E la stessa Presidenza per chiudere la querelle ha assunto i ricorrenti con costi aggiuntivi per l’erario. Il secondo episodio fa riferimento al decreto spending review, le norme in materia di risparmio del denaro pubblico, a seguito del quale la Presidenza ha rinnovato gli incarichi dirigenziali alle stesse professionalità esterne decadute, azione che è stata censurata da numerosi funzionari di ruolo della Presidenza di altre amministrazioni centrali che, pur avendo una grande professionalità e essendo idonei alla copertura delle posizioni dirigenziali in questione, non hanno visto riconosciute le proprie legittime aspettative di carriera. Così facendo si è creato un doppio danno: da un lato si è evitato di valorizzare professionalità interne e dall’altro non si è operato un risparmio per le casse dello Stato, costrette a pagare due volte. In ultimo, dopo la riorganizzazione di alcune strutture, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha revocato l’incarico a un dirigente di seconda fascia dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri proprio a causa della soppressione della struttura affidatagli. Il dirigente in questione ha fatto ricorso, vincendolo: il tribunale di Roma ne ha disposto il reintegro. Ma nonostante ciò la Presidenza del Consiglio dei ministri si è rifiutata di dare esecuzione al provvedimento dell’autorità giudiziaria.