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Perché Usa ed Europa non sono destinati a dividersi. Parla John Podesta

Stati Uniti ed Europa possono ancora lavorare assieme per la prosperità e la pace nel pianeta, purché sappiano interpretare al meglio le sfide di un mondo che cambia. A crederlo è John Podesta, ex capo di gabinetto della Casa Bianca del Presidente Bill Clinton dal 1998 al 2001 e fondatore e presidente del think tank liberal Center for American Progress, di Washington DC.

In una conversazione con Formiche.net, avvenuta a Roma a margine di un convegno internazionale di Uman Foundation, l’esponente democratico spiega perché i rapporti transatlantici non sono in crisi ma anzi possono rafforzarsi grazie a visioni comuni su terrorismo, cambiamento climatico, cybersecurity.

Mr. Podesta, come giudica il conflitto tra Democratici e Repubblicani che ha portato allo shutdown? Avrà davvero ripercussioni, come paventano in molti, sull’economia internazionale, la politica estera e la sicurezza degli Usa e dei suoi alleati?
Non credo ci saranno grandi conseguenze sul piano della sicurezza, almeno nel breve periodo. Il Segretario alla Difesa Chuck Hagel ha ordinato di richiamare al lavoro 350mila dei suoi 400mila dipendenti civili mandati a casa. Il Pay our military act, invece, ha consentito di poter contare come prima sulle forze militari. Ma c’è un gap significativo in altri frangenti, come nell’intelligence, ad esempio. E poi ci sono altre conseguenze sul piano economico: effetti sul Pil, molta gente che non ha ricevuto stipendi e così via. È un problema serio che va risolto con la massima urgenza.

Da esponente e conoscitore del Democratic Party, che scenari prevede per il dopo Obama?
Credo che Hillary Clinton abbia svolto un eccellente lavoro come Segretario di Stato e se dovesse decidere di correre come Presidente genererebbe molto entusiasmo nel mondo democratico. Sarebbe una dei favoriti sia per le primarie interne al partito che per le elezioni generali. Tuttavia credo che non abbia ancora deciso se proseguire il suo impegno politico e per scoprirlo dovremo aspettare il prossimo anno.

Che sfide e quali problemi possono affrontare insieme Usa ed Europa nei prossimi anni?
Sono tante, a partire dal nostro impegno congiunto sul climate change, ma anche per la definizione di una nuova area commerciale di libero scambio. Gli Stati Uniti, come annunciato dal Presidente Barack Obama, vogliono ridurre le loro emissioni di gas serra del 17 per cento entro il 2010. Probabilmente in Europa può sembrare una cosa di poco conto, ma non lo è in America.

C’è chi dice che la rivoluzione di shale gas e shale oil stia progressivamente allontanando gli interessi americani dal Medio Oriente e quindi dall’Europa per spostare il proprio baricentro in Asia, come dimostrerebbe la nuova base per i droni americani in Giappone.
Non penso che gli Stati Uniti intendano cambiare profondamente le loro strategie di sicurezza in Middle East, perché la capacità di produrre maggiore maggiore energia in casa propria non risolve alcune questioni fondamentali come il terrorismo. È vero, gli Stati Uniti guardano anche all’Asia, ma non esclusivamente. E lo shale aiuterà gli Stati Uniti a diversificare e bilanciare in modo ulteriore il proprio mix energetico, che dovrà puntare maggiormente anche sulle rinnovabili per costruire una low carbon economy. Ma, come ho detto prima, per ora non muta l’impegno e le valutazioni americane sul piano geopolitico.

L’ad di Eni, Paolo Scaroni, ha detto che dal punto di vista energetico la Russia potrebbe essere “il Texas d’Europa”. Che effetti potrebbe avere questo tipo di approccio nei rapporti transatlantici?
Non ritengo possa esserci forte connessione tra i due aspetti. I rapporti economici, politici e la condivisione di valori tra Usa ed Europa è forte e coinvolge molti aspetti, tra cui quelli fondamentali della sicurezza comune, come dimostra il ruolo della Nato. Senza dubbio Mosca continuerà ad essere ancora per molti anni un player globale importante sul piano energetico. Ma non bisogna dimenticare che Russia ed Europa separate non solo da ciò che ho appena citato, ma anche geograficamente. A dividerle sono alcuni Paesi, come ad esempio l’Ucraina, che non intrattengono più rapporti idilliaci con l’ex “Madre Patria”, come testimoniato dalle frequenti crisi dei gasdotti. La combinazione di questi fattori rende a mio avviso difficile pensare a un mutamento delle relazioni atlantiche solo sulla base delle esigenze energetiche del Vecchio Continente, almeno nel breve periodo.

Cybersecurity e privacy sono al centro delle cronache americane, come dimostra il caso Snowden, ma anche il furto di delicati brevetti riguardanti droni militari. Un problema anche europeo. Come valuta le rivoluzioni tecnologiche in atto?
È un tema davvero complesso perché bisogna partire dal presupposto che tutti i Paesi si spiano a vicenda: per scopi politici, commerciali, tecnologici, di sicurezza. Un argomento che gli Usa non sottovalutano affatto e che Obama e il presidente Xi Jinping hanno discusso recentemente per creare un comune e necessario recinto di norme per evitare i cyberconflitti. Il mondo del futuro è tutto da costruire.



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