Prima le bordate del Financial Times, che ha criticato il governo Letta per un’eccessiva dose di “protezionismo industriale“. Poi, stamani, un appello pubblicato dal Foglio, a firma di diversi intellettuali ed economisti liberisti, che chiede all’esecutivo di larghe intese “di astenersi dall’intervenire nei processi di mercato“. Esempi? Gli stessi portati dal quotidiano della City: Alitalia, Ansaldo Energia e Telecom.
Eppure, nei due appunti fatti al governo, c’è chi pensa che sia trascurato un aspetto pure rilevante nel dibattito che in queste ore attraversa il mondo economico e politico del nostro Paese: l’interesse nazionale.
L’INTERESSE NAZIONALE
A dimostrarlo è l’analisi di Giulio Sapelli, storico ed economista di area cattolico-liberale. Pur non potendo essere definito un protezionista, il professore anche nei suoi scritti recenti difende l’impostazione secondo cui l’Italia non sbagli a tutelare i propri interessi “in un’era in cui la globalizzazione ha cambiato profondamente il segno“. Anche i britannici, aedi del liberismo, fingono di dimenticare “la nazionalizzazione delle banche inglesi stremate dall’elevato leverage a rischio“. Ma gli esempi analoghi da fare sarebbero molti per Sapelli.
“Gli italiani, invece, sono accusati di voler difendere” le proprie aziende, Telecom e la sua rete in primis, “dinanzi alla spoliazione“. Perché?
Semmai, argomenta il professore, “la critica da rivolgere all’Italia è di non saper fare sistema e di non saper difendere asset strategici“.
DIFENDERE GLI ASSET
Allontanando da sé i sospetti di protezionismo, Sapelli chiarisce: “Ritengo che non sia importante la difesa dell’italianità dell’azionista, ma quella del patrimonio occupazionale, delle capabilities e dell’orientamento strategico di una nazione orgogliosa, lo è certamente. Le scelte del governo per Alitalia – dice parlando dell’integrazione con Poste Italiane – hanno messo una pezza. Ma meglio una pezza che nulla, e questa pezza è stata messa per non finire distrutti non solo in campo avionico, ma anche indeboliti nel turismo e nel nostro ruolo di potenziale hub strategico mediterraneo con tutto ciò che potrebbe significare sul fronte dell’occupazione. Air France-Klm vorrebbe ridurre Alitalia un vettore declassato irreversibilmente nei percorsi a medio e corto raggio senza nessuna possibilità di tornare a essere una compagnia transoceanica, ossia che opera nell’unico segmento in cui è possibile essere economicamente attivi a fronte della crescente concorrenza internazionale; e questo alla nazione tutta – non solo a qualche azionista italiano – non sta bene, perché priverebbe l’Italia di una grande possibilità di sviluppo, dopo i molti errori compiuti sia a Malpensa sia a Fiumicino“.
ATTACCHI SUBDOLI
Infine, – conclude Sapelli – “ho trovato curiosa la coincidenza che poche ore dopo che il Financial Times era arrivato nelle edicole con il suo editoriale di critica, la compagnia British Airways abbia diffuso una nota nella quale si dice pronta a impugnare l’operazione Poste-Alitalia davanti alla Commissione di Bruxelles qualificando l’intervento come aiuto di Stato, pur avendo chiaro che non si tratta di aiuto di Stato. Evidentemente in Europa non c’è solo Air France che vorrebbe un’Alitalia di portata regionale, priva di collegamenti diretti con l’Occidente e l’Oriente. E si capisce, sarebbe un concorrente in meno nella guerra dei cieli che prepara un nuovo capitolo“.