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Alfano e Mauro, destini paralleli

Salvo colpi di scena, imprevedibili ma non impossibili (come sosteneva Margaret Thatcher, l’imprevedibile accade), nella giornata di sabato 16 avranno luogo due scissioni (è il termine corretto a prescindere dalle dimensioni, dai tempi e dalle modalità con cui si attueranno questi processi): nel Pdl da un lato, in Scelta civica dall’altro.

Si tratta di capire se i pezzi di questi partiti che si separano dagli altri marceranno in direzioni convergenti o meno. Il quesito riguarda, appunto, ciò che faranno i cosiddetti governativi del Pdl e i Popolari di Scelta civica, guidati i primi da Angelino Alfano, da Mario Mauro i secondi (il ministro della Difesa avrà più problemi a farsi riconoscere la propria leadership del suo collega agli Interni perché appartiene a un movimento in cui ogni caporale crede di avere nello zaino il bastone da Maresciallo).

A pensarci bene, se fosse davvero questa, la prospettiva avrebbe un senso. Anzi, avverrebbe con il ritardo di un anno, perché ci sarebbero state le condizioni già alla fine del 2012, se Alfano avesse continuato ad appoggiare il governo Monti anziché, dapprima, assecondare (il 6 e il 7 dicembre) il progetto di Silvio Berlusconi che portò alle elezioni anticipate; fare abortire l’iniziativa che avrebbe dovuta dare vita a Italia popolare promossa delle fondazioni del centro destra, poco tempo dopo, riportandole nell’arco di una mattinata sotto l’egida del Cavaliere.

Ma la politica e la storia non si fanno con i “se”. Se non si fosse messa di mezzo una sentenza passata in giudicato, certamente Alfano e gli innovatori non avrebbero mai trovato il coraggio di rompere con Berlusconi, ben sapendo che, finché resta la sua leadership, ogni progetto di costruire un percorso di alleanze non solo è destinato a fallire, ma non può neppure partire. Se non si accontenteranno di essere solo “diversamente berlusconiani” in una sorta di coabitazione con quella parte che resta fedele come lo è stata sempre, ma produrranno quel difficile e doloroso strappo (la rottura con il Cavaliere è pregiudiziale) che li porterà ad uscire dalla fiction del Truman show, si presenteranno sulla scena come un soggetto politico portatore di una linea moderata, europea, organica al Ppe e monda dal populismo a fini di consenso elettorale.

In sostanza, gli “alfaniani” sarebbero portatori un progetto “che tiene” e che può ricongiungersi con l’ala anch’essa popolare di Scelta civica. E che può farsi le ossa se il governo Letta arriva alla fine del 2014, anche perché è in grado di contare su una presenza diffusa nelle istituzioni, anche periferiche. Più incerta sarebbe la prospettiva di quella parte di Scelta civica che rimarrebbe “montiana”. Tanti di loro hanno già pronti i bagagli per trasferirsi nel Pd, subito dopo l’8 dicembre, quando Matteo Fonzie Renzi si impadronirà del partito. Coloro che credono ancora in quell’esperienza sbaglierebbero, però, se il 16 novembre scegliessero la linea immobilista che li ha contraddistinti fino ad ora e che ha caratterizzato l’infelice documento del 21 ottobre. Non avrebbe senso rispondere all’uscita della componente cattolico-popolare con un appello alla purezza delle origini.

Nel firmamento politico italiano c’è spazio per una componente laico-liberale. Scelta civica deve solo dismettere un po’ di arroganza e tornare anch’essa sui suoi passi a compiere oggi ciò che rifiutò di fare prima delle elezioni: aggregare quanto resta di ‘’Fare per fermare il declino’’ e talune componenti socialiste che non hanno seguito Riccardo Nencini nel Pd, nonché prestare attenzione ad un movimento di nuova istituzione come Ali.

Al momento della sua fondazione Scelta civica, forse aderendo alle richieste degli alleati, si adoperò per escludere piuttosto che includere. Poi si è molto agitata per scrollarsi d’addosso l’Udc (che alla fine le ha sottratto gran parte del gruppo al Senato). Adesso, se una parte di essa se ne va per la sua strada a dar vita ad una costituente popolare, l’altra parte dia corso alla medesima operazione sul fronte laico e riformista. C’è però un problema non da poco. Un’aggregazione tra alfaniani, casiniani e popolari ex Sc esprimerebbe una gruppo dirigente collaudato e forse anche una leadership. Per gli altri – stante il disimpegno di Mario Monti – staremo a vedere.

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