Mercoledì, salvo sorprese, in applicazione di una legge opportunamente voluta meno di un anno fa da (quasi) tutti, il Senato dichiarerà la decadenza di Silvio Berlusconi dal Parlamento.
Uscito dal proscenio il capo del PdL, però, nessuno si faccia illusioni: resta in tutta la sua portata dirompente la rivolta che lui – sulle orme di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan – ha promosso: quella dell’Italia che produce e che rischia contro l’Italia che succhia rendite attraverso le imposte e non rischia mai nulla.
Lui contro quelle imposte si è battuto, ma a buon conto le ha anche sistematicamente evase. Si è fatto paladino dell’antipolitica, ma della politica ha fatto un uso pessimo, in larga parte centrato sui suoi interessi personali.
Ha dato voce a quella rivolta, ma non ha saputo darle alcuno sbocco positivo; al contrario: dal 2001 al 2011 sotto i suoi Governi il debito pubblico è aumentato del 40 per cento (nonostante l’abbattimento degli interessi dovuto al passaggio dalla lira all’euro), la spesa corrente annua è aumentata di 206 miliardi e le imposte sono aumentate di 176 miliardi.
Ora, però, o a quella rivolta la politica nazionale riuscirà a dare una risposta seria e positiva, uscendo dalla lunga fase di inconcludenza che sta attraversando, oppure la Repubblica sarà in pericolo davvero, molto più di quanto lo sia stata fin qui.
Non c’è proprio niente da festeggiare.