“Il Presidente non dovrebbe avere un attimo di esitazione a dare, senza che io presenti la richiesta, perché ho la dignità di non chiederla, un provvedimento che cancelli l’ignominia dell’affido ai servizi sociali. Che mi affidino agli assistenti sociali perché possa riabilitarmi credo non sia solo un’umiliazione per me, ma anche per il Paese”.
Tra le tante cose inaccettabili dette, anzi urlate ieri da Berlusconi, il passaggio meno digeribile per me è questo, in cui l’ex premier – dopo il solito, stanco evocare complotti, colpi di Stato e carte a sorpresa che ribalteranno il mondo, a cominciare dalla sentenza di condanna contro di lui ormai passata in giudicato – pretende la grazia dal Capo dello Stato e introduce in politica la categoria dell’umiliazione.
Meno digeribile perché, nel ritenere inaccettabile una presunta umiliazione a suo danno, Berlusconi dimentica le infinite umiliazioni che lui ha inflitto all’Italia e agli italiani negli ultimi vent’anni. Le umiliazioni del cucù alla Merkel e della reprimenda della Regina Elisabetta contro il cafone non identificato che urlava “mister Obama, mister Obama, le umiliazioni per la scena al Parlamento europeo con Schultz e per i titoli dei giornali di tutto il mondo, le umiliazioni per un Paese fatto a misura di amici e amici degli amici e quella che ha sperimentato ogni italiano all’estero che almeno una volta si è sentito dire “ah, italiano… Berlusconi”, seguito dall’inevitabile sorrisetto sempre sospeso tra sarcasmo e compassione.
Appellarsi al popolo perché reagisca a una sua presunta, eventuale umiliazione, caro Berlusconi, non serve a niente. Perché se gli italiani hanno chinato il capo davanti a venti anni di umiliazioni, in attesa di tempi migliori, è difficile che decidano di alzare la testa proprio adesso. Quando i tempi migliori, almeno da questo punto di vista, rischiano addirittura di essere arrivati.