Professore Boldrin, si vocifera di maretta in Fare, c’è chi parla di deficit democratico, sospensione di coordinatori regionali, commissariamenti, mal di pancia da parte di fondatori come Alessandro De Nicola rispetto alla sua linea politica…
Lasciamoli vociferare. Con il gossip politico non si va da nessuna parte e chi lo alimenta inventandoselo deve, evidentemente, avere le sue ragioni. I fatti sono questi: in Fare c’è una direzione nazionale composta di 24 persone, eletta con un percorso democratico trasparente, che ha coinvolto tutto il movimento e la cui composizione riassume fedelmente tutte le nostre componenti. In giugno la Direzione Nazionale aveva una composizione 15-9, ossia 15 della maggioranza e 9 dell’opposizione. Oggi è 20 a 4 dove questi ultimi sono i 4 che si sono appena dimessi. Evidentemente qualcosa, in questi 4 mesi, è cambiato ed è cambiato per il meglio, non le pare?
Molti non sono del suo stesso parere. Non sia reticente, c’è una minoranza che la contesta…
Alessandro De Nicola, al congresso, ha appoggiato una mozione diversa dalla mia, che è risultata di minoranza ma che è comunque rappresentata in Direzione Nazionale. È bene ricordare che in Fare tutti siamo volontari e che nessuno di noi è un politico di professione, mi pare quindi abbastanza logico e naturale che De Nicola, una volta visto che la sua mozione non ha avuto la maggioranza, abbia scelto di alleggerire un po’ la sua presenza in Fare per dedicare più tempo ed energie ad altre delle molteplici associazioni ed attività a cui è associato ed in cui svolge una brillante attività. Ma se ha voglia di contribuire basta che lo dica, è benvenuto.
Quali saranno le prossime iniziative del movimento da lei guidato? Prevede convergenze o iniziative comuni con altri gruppi politici come l’associazione Italia Futura, Scelta Civica di Monti o altri? Potrebbe esistere lo spazio per un dialogo con un Matteo Renzi segretario del PD?
Sin dal congresso del 12 maggio 2013, che mi ha eletto coordinatore nazionale, ho portato avanti una linea ben precisa, che è quella del dialogo a tutto campo con le forze sane che condividono il grosso delle nostre proposte. Poi, è ovvio, per convincermi qualcuno deve dimostrarmi, fatti e numeri alla mano, di aver ragione, ma se io mi rendo conto di aver torto, non ho problemi ad ammetterlo. When facts change, I change my mind. What do you do, sir?
E quindi, verso chi intende volgere lo sguardo?
In Direzione nazionale abbiamo deciso che la strada fosse quella di cercare il dialogo, il confronto e la convergenza, sia a livello nazionale che locale, con tutte le altre forze politiche che si riconoscessero nella sostanza del nostro programma, che avessero la volontà di perseguirlo con noi e che fossero libere da responsabilità nei disastri compiuti dalla politica di PD/PDL e compari nel corso degli ultimi venti anni. In questa logica abbiamo iniziato a fare convegni e a confrontarci con alcune forze e movimenti e abbiamo dato vita a una federazione con altre (Partito liberale, Liberalitaliani, Partito federalista europeo, Uniti verso nord) e stiamo parlando con molti altri ancora. Insomma, il dialogo e il confronto sono il sale della politica e Fare vuole esserne il lievito, il catalizzatore per arrivare a creare una grande forza capace di realizzare gli obiettivi del nostro programma. E poi, se dal dialogo nasceranno nuove alleanze, benissimo; se invece non nasceranno, vorrà dire che comunque dal confronto entrambi saremo usciti più ricchi.
Ci parli di questa iniziativa di federare i movimenti d’ispirazione liberale.
L’iniziativa di federare e (se la sorte ci aiuta) unire tutte le forze politiche e sociali realmente (e sottolineo la parola realmente) interessate a rimuovere le cause del declino italiano è il prodotto del puro buon senso applicato alla politica. Nel 2014 ci saranno le elezioni europee e rispetto alle scorse politiche però stavolta abbiamo avuto una possibilità in più, che abbiamo scelto di cogliere: federarci con tutta la galassia di persone, movimenti e partiti animati dalla nostra stessa passione e da un identico pragmatismo, non necessariamente tutti e non solo di ispirazione liberale, trovando convergenze non su ideologie ma su finalità concrete da perseguire nei fatti e non su vuoti proclami.
Oggi noi vogliamo, in collaborazione paritetica con gli altri partiti e movimenti che hanno scelto di condividere con noi questo percorso, essere il catalizzatore di questa aggregazione di forze nuove, non compromesse con il passato, che vogliono lottare contro questo governo che non fa e non vuole fare, e contro questa opposizione che nulla propone. Abbiamo iniziato un percorso di incontri con chi aveva voglia di dire la sua ed oggi abbiamo iniziato a costituire questa federazione, nella quale per adesso siamo in sette tra partiti e movimenti, ma che non è un club esclusivo: ci proponiamo di crescere ed aggregare ancora molte altre forze che stanno arrivando.
Puntate dunque alle elezioni europee?
Tutti assieme abbiamo lanciato un appello pubblico a metterci assieme, per condividere un percorso di lungo termine, di opposizione prima e di governo poi, il cui primo obiettivo è la presentazione di una lista unica per le europee, sia perché dal confronto con le buone pratiche europee in termini di efficiente amministrazione della cosa pubblica l’Italia ha molto da imparare, sia perché occorre portare nelle istituzioni politiche europee personaggi di maggior spessore e competenza, capaci di restituire al nostro paese il ruolo, la dignità e il peso politico che anni di politica estera inadeguata, per non dir di peggio, le hanno fatto perdere.
E le amministrative?
Nella nostra roadmap ci sono anche le amministrative, perché gran parte del pus della politica italiana si annida nelle pubbliche amministrazioni locali. Così, abbiamo lanciato un parallelo invito a persone e ad altri movimenti ad aggregarsi con i nostri circoli locali per portare competenza, trasparenza e merito anche negli enti locali, a partire da Comuni e circoscrizioni.
Parliamo di politica economica. Il governo Letta è sulla strada giusta con la legge di stabilità?
Faccio molta fatica a capire se sia su qualche strada, visto che praticamente non si è mosso di una virgola rispetto alla linea tracciata dagli esecutivi che lo hanno preceduto. E forse la spiegazione è proprio questa, che Letta si è ben guardato dall’imboccare una qualsiasi strada perché sta veramente bene lì dov’è. E sa benissimo che, qualsiasi strada tentasse di imboccare, verrebbe impallinato da un fuoco amico incrociato. Ma questa non è una scusante per Letta e per il suo esecutivo. È semplicemente la conseguenza del non aver da subito deciso di affrontare per le corna il toro della crisi. E non parlo tanto degli shock fiscali che qualche teorico impaziente auspicherebbe, e che sarebbero con tutta probabilità una medicina peggiore del male, ma di un serio programma di riforme strutturali che il governo non si è neppure sognato di produrre.
Questo governo dunque non le piace…
Lei faccia mente locale al primo discorso di Letta e guardi ai punti del suo programma. Le sembra che definiscano una piano organico di cambiamento? NO. Quello è solo un elenco di interventi totalmente scollegati tra loro, la cui attuazione, se anche venisse effettuata, non porterebbe a niente. Anzi, sì, a qualcosa porterebbe: ad aumentare ancora le tasse, cosa che si sta purtroppo puntualmente verificando. E per capire questo non serve essere economisti, basta avere un minimo di raziocinio
Ansaldo, Alitalia, Telecom: tre casi che sembrano esprimere un rinnovato interventismo secondo un appello di intellettuali liberisti pubblicato dal Foglio. Qual è la sua valutazione? Privatizzare le grandi società pubbliche è una strada perseguibile?
Le etichette facili sono una delle più grandi mascalzonate di tutta la storia dell’umanità. Mi passi lo sfogo, ma le pare, tanto per fare un esempio, che sia stata una vera privatizzazione quella di Alitalia venduta/svenduta/regalata da Berlusconi ai suoi amici, promossi capitani coraggiosi dall’iconografia dei suoi media e poi rivelatasi una bufala imprenditiorialmente parlando e qualcos’altro di ancor peggio dal punto di vista della storia giudiziaria di gran parte di essi. Al di là di questo, il problema è che la realtà non è mai bianco o nero. Le privatizzazioni sono un bene se inducono concorrenza, mentre non lo sono e diventano un male se sono fatte per far sì che i patrimoni pubblici vengano svuotati e/o il monopolista privato rimpiazzi il pubblico. Questo vale per le aziende, ma anche per le banche, ostaggio di fondazioni che sono un ricettacolo di clientele partitiche, per le migliaia di aziende partecipate da enti locali, pubblici o para-pubblici, e così via.
Quindi le privatizzazioni non sono sempre un bene. Strano sentirlo da lei, che guida un movimento d’ispirazione liberista…
Il problema è che fare privatizzazioni nel modo in cui la politica ha fatto finta di farle fino ad adesso non solo fa dei danni ma dà anche alla gente l’impressione che le privatizzazioni siano peggiori del male. E dunque, farle male conviene alla politica, per due motivi. Il primo, e più immediato, è che così soddisfano gli appetiti di un po’ di amici; il secondo di più ampio respiro, è che così facendo convincono gli italiani che le privatizzazioni non vadano fatte, il che consente alla politica di mantenere la propria longa manus su tutti gli immensi patrimoni pubblici, da usare a proprio piacimento per tutto l’infinito portafoglio di soperchierie che in Italia si riescono a realizzare così facilmente. Dunque, il problema vero in Italia, prima ancora di fermarci a discutere se sia meglio o no privatizzare e fino a che punto sia utile farlo e in che modo sia meglio farlo, è come mandare a casa senza tanti complimenti questa classe politica che, salvo pochissime eccezioni, è riuscita a sfasciare l’intero Paese. Tolti loro, potremo discutere di tutto. Farlo prima, è solo un esercizio salottiero, e mentre noi ci balocchiamo a parlare di privatizzare questo o quello, loro continuano indisturbati nel loro quotidiano sacco d’Italia.