Scusatemi se prendo un po’ di spazio per illustrare al pubblico di Formiche.net un’iniziativa a cui ho dato anche un qualche mio contributo: d’altra parte adoro i conflitti d’interesse (solo se espliciti però) e quindi vi scrivo questa mia – come direbbe Totò – senza vergogna. Vi sono, peraltro, un paio di elementi in ciò che affronto anche di un certo interesse politico.
I FATTI: UN CONVEGNO PER IL NORD
Ma veniamo ai fatti: sabato 30 novembre la Fondazione Tempi promuove un convegno su: “Far ripartire il Nord per far ripartire l’Italia” con un parterre di relatori di qualità: Roberto Maroni, Giorgio Squinzi, Maurizio Lupi e Giuseppe De Lucia Lumeno. Il convegno si tiene alle ore 10 presso il Grand Hotel Villa Torretta via Milanese 3 a Sesto San Giovanni (Milano). E’ la prima iniziativa pubblica di una nuova Fondazione Tempi che deriva dal settimanale Tempi, testata che esce dal 1995. Vorrebbe essere l’inizio di un lavoro di elaborazione culturale di temi legati alla politica. In questo senso si cerca di far dialogare cultura e politica senza schierarsi partiticamente: un’impresa particolarmente complicata nel clima aspro che si respira oggi in Italia. Però avendo per quasi venti anni cercato di seminare settimanalmente cultura (cattolica ma anche laica) “della vita”, garantista, liberale, occidentale e popolare, quelli di Tempi (con qualche compagno di viaggio come me) hanno ritenuto che, anche proprio per la difficoltà del momento, era ora di confrontarsi maggiormente con il “mondo” cioè con la politica. Con l’ambizione (presunzione?) peraltro di costringere “il mondo” a fare i conti con un’elaborazione culturale delle idee, e non solo con slogan o tattiche ministerial-parlamentari.
Ci sarà uno spazio tra tanti centri culturali che altro non sono che correnti di partito, per un’esperienza senza appartenenze preventive (anche se poi tutti i protagonisti della nuova Fondazione non sono certo privi di idee e punti di vista talvolta molto precisi)? Come si dice, la prova del budino la si fa mangiandola e il 30 novembre si inizierà ad assaggiarlo con un appuntamento abbastanza impegnativo.
LA MACROREGIONE DEL NORD
E’ da qualche tempo che si è iniziato a discutere dell’idea di una macroregione del Nord: il primo che la sostenne era stato Gianfranco Miglio, grande studioso molto tempestoso che fece un tratto lungo di percorso (poi interrottosi un po’ bruscamente) con una Lega Nord non priva di diffidenza verso gli intellettuali. Recentemente l’aveva rilanciata Roberto Formigoni ancora presidente della Regione Lombardia e poi è diventata parte organica della campagna elettorale vincente di Roberto Maroni. Oggi un altro lombardo di grande blasone, Piero Bassetti, la riprende confermandone l’attualità.
La questione culturale “centrale” da cui si parte è quella se il Nord abbia caratteristiche omogenee tali da consentire l’approccio istituzionale “macroregionalista”. In questo senso se per omogeneità si intende appiattita omologazione, ciò certamente non è vero: discutiamo di un territorio formato da decine di città, ognuna con la propria storia, le proprie eccellenze e qualità. Tutto tranne che una città infinita appiattita e manipolabile. Se invece compariamo i livelli di produttività del Nord Italia ad altre aree della Penisola, si noteranno alcune consistenti caratteristiche comuni che legano questo territorio e che lo rendono analogo ad altre zone europee subalpine, quelle protagoniste della recente conferenza di Grenoble. E altro elemento decisivo di identificazione è il livello di contribuzione fiscale rispetto al resto d’Italia, comparato ai corrispondenti limiti degli investimenti dello Stato.
I TEMI DEL CONVEGNO
E’ dall’individuazione di questa relativa omogeneità “produttiva” e “politico-fiscale” che si può dedurre la sostenibilità e opportunità dell’approccio macroregionalista ed è da questa analisi che derivano i temi all’attenzione del convegno: quelli dell’iniziativa istituzionale (la cosiddetta macroregione e le strategie di coordinamento con le altre macroregioni europee subalpine), dell’infrastrutturazione di questo comparto della nazione (ed è questo uno dei terreni su cui il governo più sta facendo), di una politica dell’innovazione più strettamente legata all’impresa e infine di una svolta nel credito con un più decisivo intervento nel finanziamento della produzione.
LA NOSTALGIA DEGLI ANNI OTTANTA
Il titolo del convegno, poi, ha una sfumatura da anni Ottanta (o magari Cinquanta) quando tante imprese delle regioni settentrionali, quasi indipendentemente dalle politiche governative, furono capaci di produrre sforzi tali da rimettere in moto l’economia nazionale. Naturalmente gli organizzatori del convegno sono consapevoli dei cambiamenti avvenuti in Italia rispetto alle stagioni dei vari miracoli compiuti dalle nostre imprese, innanzi tutto al Nord: l’egemonia tedesca sulle scelte dell’Unione europea porta a una compressione del nostro mercato interno da una parte e del credito dall’altra, mentre la moneta unica impedisce di ricorrere al sistema rozzo ma non inefficace delle svalutazioni. La difficoltà a riformare lo Stato, poi, rende più complesse strategie nazionali di rilancio. In questo senso à quasi impossibile replicare i meccanismi e i successi del passato.
QUALCHE SPIRAGLIO PER LE IMPRESE
“Quasi” perché in realtà un segmento di imprese impegnandosi nell’innovazione, saldando ai livelli più alti la collaborazione tra capitale e lavoro, inventandosi sempre nuovi mercati, dimostrano coi fatti che qualche spiraglio c’è ancora. Però “le eccezioni” oggi non possono rimediare da sole al quadro negativo, che peraltro vede per la prima volta l’area del Nord Italia perdere non pochi punti rispetto alle analoghe regioni europee con cui era sempre stata competitiva.
LO SPIRITO DEL CONVEGNO
Si tratta, e questo è lo spirito del convegno, di difendere le “eccezioni” e insieme di fare di questa “difesa” la base per mobilitare soggetti più ampi che influiscano sulla politica nazionale ed europea. I settori di resistenza non risolvono in sé le questioni di fronte a noi ma possono offrire le condizioni per una soluzione della crisi nazionale che non può non avere una dimensione ampia e articolata.
Il convegno non insisterà dunque su temi politici generali né su formulette ideologiche o sloganistiche. Cercherà invece di capire come possa partire dall’area settentrionale dell’Italia un movimento capace di aiutare la soluzione della crisi coniugando visione, progetto, concretezza e “popolo” intendendo con questo termine un po’ retorico chi si impegna direttamente a realizzare le scelte.
Ai relatori perciò è stato chiesto di aiutare la riflessione articolandola su diverse coordinate: la rete, le polarità, i soggetti.
Sono evidenti le necessità di reti istituzionali (coordinamenti tra Regioni e strategie comuni tra aree subalpine europee), infrastrutturali (dai trasporti alle comunicazioni), della ricerca (un coordinamento per esempio delle grandi università del Nord, politiche fiscali regionali pro-innovazione) e del credito (enti pubblici straordinari, strutture di garanzia per i fidi).
Ma sono evidenti anche le esigenze di difendere le singole “polarità” frutto di storie antiche che di per sé costituiscono una risorsa. In questo senso vanno anche contenuti i rischi di municipalismo (un’università, un aeroporto, un ospedale, un interporto e così via per ogni campanile).
DI COSA HA BISOGNO L’ITALIA
E infine, ed è quello che ha più bisogno l’Italia, è oggi indispensabile promuovere soggetti capaci di gestire i processi di sviluppo che possono partire su base interregionale: dai comuni che svolgano funzioni pilota ai vari protagonisti dell’infrastrutturazione, la cui funzione per lo sviluppo sul territori non deve scomparire anche se perdono un controllo nazionale sulla proprietà (da Telecom Italia ad Alitalia) o la cui soggettività deve essere rilanciata (dagli autotrasportatori a una società Fnm-Atm); da nuove iniziative per legare imprese e innovazione a quei soggetti del credito naturalmente inclini al rapporto con la produzione, come le banche popolari e quelle di credito cooperativo.