Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Gianfranco Morra apparso sul quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi, Italia Oggi.
Il maschilismo in politica è ormai alla fine. Come è giusto. Le donne sono capaci (o incapaci) come i maschi. Ha vinto il «femminismo», il termine è, roseo e dolce, giustamente rivendicativo. «Sono femminista», si dice con orgoglio.
Fa, invece, paura dire «maschilista», meglio lasciar perdere, in quanto sinonimo di privilegi e sopraffazione. In realtà, sono due difetti analoghi e complementari, l’uno imitazione dell’altro. Andrebbero cancellati entrambi.
Uguaglianza, donne e politica
Oggi molte leggi difendono l’eguaglianza tra i due «sessi»: la «pari opportunità», la «par condicio», le quote riservate, le liste coi nomi alternati, e tanti altri marchingenî, che correggono la natura in nome della eguaglianza. Anche in politica non poche donne hanno superato gli uomini. In Inghilterra veri re sono solo le regine; premier come Indira Gandhi e Golda Meir, la Thatcher e la Merkel hanno mostrato indiscutibili qualità e coraggio.
Donne anche nei governi della nostra repubblica, ma solo dal 1976: la prima fu Tina Anselmi. E rimasero sempre pochine. Il salto l’ha fatto Letta, di donne-ministro ne ha 7 su 21, di cui una «colorata». Ancora poche, si dirà. Ma anche un salto rispetto alle 4 di Berlusconi (2008) e alle 3 di Monti (2011). Enrico è, per natura femminista. Ma ciò non significa che abbia scelto sempre bene. Qualche rogna l’ha avuta.
Due precedenti da ricordare
Una donna, chiamata al governo per la sua abilità nel guidare la canoa, ha dovuto fare le valigie. Josefa Idem, ministra non solo dello sport, ma anche delle politiche giovanili e della pari opportunità, si è dovuta dimettere per avere usato alcune opportunità «impari», che non è bene insegnare ai giovani. Volente o nolente, ha riconosciuto le colpe e ha dato le dimissioni. Letta, in nome della trasparenza, le ha sùbito accettate.
Poi è stata la volta della vichinga bolzanina, Michaela Biancofiore, viceministro con delega alle pari opportunità Non le piacciono gli omo e lo ha detto: «I gay si ghettizzano da soli», una opinione da tenere nascosta. Le associazioni omofile hanno protestato. E Letta non ha atteso, via la delega, naturalmente dandogliene un’altra. Forse in nome della pari opportunità.
Il caso Cancellieri
Oggi una nuova tegola cade sul governo Letta a causa della decana del corpo femminile, Anna Maria Cancellieri, abile e stimata come prefetto e, ancor più, come commissario governativo in amministrazioni comunali inguaiate, a Parma per questioni di grana e a Bologna per motivi di letto. Dove, col suo fare abile e accomodante, ha lasciato buoni ricordi. Ora, però, anche lei ha creato a Letta qualche problema.
È stato, dice, un atto di carità. Si è interessata perché venissero concessi gli arresti domiciliari alla figlia del finanziere Salvatore Ligresti, arrestata per falso in bilancio e aggiotaggio. L’ho fatto per lei, si è giustificata, esattamente come per tanti altri, solo per sensibilità alla salute dei carcerati. Le ha fatto eco il procuratore Caselli: «Se Giulia Ligresti è stata liberata, la Cancellieri non c’entra. Tutto vero, ma le telefonate, di sua iniziativa, alla compagna di Ligresti e ad altri familiari non sono state né poche, né brevi. La prima, lo stesso giorno del fermo di Giulia, che non poteva ancora essere ammalata grave. Segno che la considerava un po’ più uguale degli altri, ai quali molto probabilmente non ha telefonato».
Che cosa c’è di illegale in tutto ciò? Sollecitata dalla famiglia Ligresti, ha «sensibilizzato» sul caso i vice-capi della amministrazione penitenziaria. Si tratta di una condotta almeno inopportuna per un Guardasigilli. Soprattutto per i legami di vecchia amicizia con la famiglia Ligresti e per i rapporti di lavoro tra suo figlio Piergiorgio e don Salvatore: fu assunto per un anno e licenziato con una favolosa indennità. Insomma il ministro della Giustizia, con queste sue telefonate ha assunto un comportamento lontano dai doveri d’ufficio, una sospensione dell’etica professionale.
Un Guardasigilli, come ogni ministro, ha il dovere della riservatezza.
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